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Arte dei Sumeri

Stendardo di Ur: faccia della guerra

Stendardo di Ur: faccia della guerra

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SUMER E L’ARTE DEI SUMERI

Centro di culture che si ispirano le une alle altre con contributi artistici reciproci di diversa natura, sia pure globalmente in un’omogeneità di base, la Mesopotamia, sostiene in questo periodo lo sviluppo di un’arte la cui influenza si irradierà a macchia d’olio per gran parte dei territori, permanendo a lungo nel tempo.

Le origini e la provenienza del popolo dei Sumeri sono ancora del tutto sconosciute. Sappiamo che non era una stirpe semitica e che le zone del Tigri e l’Eufrate hanno ospitato, in precedenza, altre civiltà. Alcune fonti sembrano dimostrare con testimonianze di tipo archeologico, che verso il IV millennio a.C. la civiltà sumera viveva sui monti Zagros, a nord della Mesopotamia, e che intorno al 3500 a.C. abbia occupato le zone del Tigri e dell’Eufrate. Poche sono le testimonianze di questa popolazione, per due fondamentali motivi: il primo è che, per mancanza di cave di pietra, le costruzioni venivano realizzate prevalentemente con mattone cotto, e il secondo è che questa civiltà non condivideva affatto le credenze religiose degli egizi, per le quali il corpo umano dopo la vita, dovesse mantenersi intatto per l’eternità affinché anche l’anima potesse sopravvivere.

L’arte sumerica conosce quattro fasi:

  1. La predinastica che comprende il periodo tra il 3100 ed il 2800 a.C.
  2. La protodinastica tra il 2800 ed il 2350 a.C.
  3. La accadica (da Akkad) tra il 2375 al 2800 a.C.
  4. La neosumerica tra il 2112 ed il 2004 a.C.

I reperti, pur essendo alquanto scarsi, mettono in evidenza la peculiarità figurativa e formale della loro arte, al di là degli influssi iranici ed asiatici. Alla prima fase appartengono i primi esempi di costruzioni monumentali a carattere religioso. Esempi caratteristici di questa architettura, sono il tempio di Eridu ed il tempio Bianco di Uruk.

Dopo la lunga fase protostorica  appartenete al IV millennio, durante tutto il periodo protodinastico che va dal 2800 al 2350 a.C. ed oltre, progrediscono  le città-stato di Ur, Lagash, Mari. L’organismo  teocratico dei Sumeri impregna ogni forma di espressione artistica.

Gudea, principe di Lagash: Statua seduta è dedicata al dio Ningishzida, anno 2120 a.C. (neo-sumerico), rinvenuta tra le rovine di Girsu, Tellō in Iraq meridionale
Gudea, principe di Lagash: Statua seduta è dedicata al dio Ningishzida, anno 2120 a.C. (neo-sumerico), rinvenuta tra le rovine di Girsu, Tellō in Iraq meridionale

Nel campo dell’architettura vengono eretti edifici, templi e santuari. Il tempio, edificato con l’impiego di mattoni d’argilla (a causa della scarsa reperibilità della pietra), è il punto di riferimento generale degli interessi della città che sono principalmente religiosi ed economici: al tempio sono collegati altri locali dove vengono effettuati lavori di vario genere, compresi quelli amministrativi. Nel progetto è prevista la corte al centro del tempio, alla quale si accede da un maestoso ingresso con un’imponente rampa di scale. Un chiaro esempio è il tempio di Sin a Khafagia: l’immagine del recitante le preghiere ha la supremazia sulle altre figure.

Gli artisti veri e propri, e anche quelli a livello artigianale, producono piccole statue in gesso, terracotta ed alabastro, replicando continuamente una forma usuale e consueta oltre che anonima. Le piccole statue raffiguranti le divinità e gli oranti, che continuamente arrivano da Teli Asmar, come pure la figura seduta dell’intendente Ebih II (oggi custodita al Louvre di Parigi) che rappresenta colui che dedica, che dà garanzie, sono collocate nei templi, in una continua presenza per significare l’onore perpetuo tributato alla divinità.

L’intendente di Ebih. Mari, 2400 a.C., Musée ddu Louvre, Parigi

Ebih II ha le spalle rilassate, le mani a dita unite accavallate (la destra sopra la sinistra) all’altezza del petto, l’espressione concentrata, i grandi occhi guardinghi contornati da linee di bitume, che annunciano l’intrinseco dialogo con il dio, in un’espressione di umile devozione.

Il prediligere le forme tondeggianti, messo a confronto con l’abbondanza cubica della forma statuaria egizia, esalta ancora di più queste immagini coperte dal vello di pecora, stanti, sedute o accasciate con le gambe incrociate. Le dimensioni in linea di massima ridotte, distanti da quelle gigantesche delle figure egizie, si giustificano con la difficile reperibilità di sasso marmoreo e soprattutto con il differente modo di concepire la religione: è la maestosità di tutto l’organismo architettonico ed ornamentale a rimarcare il potere assoluto del re. Nei sigilli, all’impassibilità del recitante subentrano la fantasia creativa, il gusto per la narrativa, l’energia naturalistica. Montoni distesi, buoi, e dinamici scontri fra animali, arricchiscono gli scenari di queste piccole opere.

Stendardo di Ur: faccia della guerra
Stendardo di Ur: faccia della pace
Collana della regina Puabi di Ur. Museo irakeno di Baghdad
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