Pagine correlate alla Pittura della Controriforma: Pittori della Controriforma – Il Manierismo – La pittura di Michelangelo – Pittori veneti del Cinquecento – Pittura del nord e centro del Cinquecento.
(Continua dalla pagina precedente)
Il ruolo della Chiesa come mediatrice super-partes tra Dio e l’uomo in questo momento veniva fortemente messo in dubbio, come pure l’importanza della figura stessa del papa.
Già con il pontificato di Paolo III (1534-1549) si incominciò a pensare ad un mutamento con la promozione a cardinale di due prelati chiaramente riformatori, come l’inglese Reginald Pole (1500 – 1558) ed il veneziano Gasparo Contarini (1483 – 1542).
Per di più i nuovi ordini divennero, assieme, uno dei principali baluardi dell’ortodossia: nel 1540 venne confermato quello della Compagnia di Gesù (fondato nel 1534 da Ignazio di Loyola). A contrastare il cardinale Pole e i nuovi riformatori fu il potentissimo cardinale conservatore Gian Pietro Carafa, che nel 1542 riuscì a porsi al vertice della commissione dell’appena ripristinato Tribunale dell’Inquisizione. Nell’anno successivo venne ripristinata la censura sulle opere che contrastavano con la dottrina della Chiesa cattolica e, nel 1545, sotto il papato di Paolo III fu convocato il Concilio di Trento, noto anche come Concilio Tridentino. In questo clima il ruolo dell’immagine venne riconfigurato, ed è quindi scontato che, pur non essendo previste dal Concilio delle direttive ad hoc per la rappresentazione artistica, al termine delle sedute, (dicembre 1563) il mondo dell’arte sentì sulle proprie spalle l’enorme responsabilità di emendare una delle cause principali che scatenarono la Riforma protestante: la licenziosità ed il lusso delle sue opere.
Il Concilio definì la posizione della Chiesa riguardo alle immagini sacre, considerando la rappresentazione artistica come il mezzo più efficace per l’educazione religiosa e come un valido incentivo alla devozione.
I concetti usciti dal concilio di Trento non erano perciò differenti da quelli sentiti e risentiti in molte altre occasioni da esponenti della Chiesa di Roma senza che mai, questi, avessero efficacemente inciso sulla libertà di espressione degli artisti.
Per quanto fosse vasta la genericità delle direttive emanate dal Concilio, la seconda metà di quel secolo vide la Chiesa apertamente impegnata nelle direttive e nel controllo delle arti figurative, facendo nascere ciò che possiamo effettivamente considerare “arte controriformistica”. Sorse così una politica figurativa, e con essa la nascita e lo sviluppo di una trattatistica “di appoggio”, che «si trovava a combattere, in Italia, non con le negazioni luterane o calviniste, ma con le ‘licenze’ dei manieristi, soprattutto col loro iniziatore e responsabile, già identificato dai classicisti nel terribile Michelangelo» [Barocchi].
L’arte della Controriforma occupa soltanto un ristretto periodo e non rappresenta certamente una delle più importanti pagine della Storia dell’arte. Il movimento che riguardava le arti figurative, come già accaduto nel passato, sfuggi facilmente dalle mani degli impositori di quei principi e riprese il suo corso in piena autonomia. Da ciò deriva il fatto di quanto fosse difficoltoso il voler disciplinare la produzione artistica figurativa, sia da parte di chi aveva in mano il potere, sia da parte della committenza.
Il primo trattato sulla Controriforma, il “Dialogo nel quale si ragiona degli errori e degli abusi de’ pittori circa l’istorie” di Giovanni Andrea Gilio, edito nel 1564 a Camerino, reca un sottotitolo abbastanza significativo: «Con molte annotazioni fatte sopra il Giudizio di Michelagnolo et altre figure, tanto de la nova, quanto de la vecchia Capella del Papa». L’evidente attacco al Giudizio Universale del grande artista evidenzia un’importante posizione per l’arte figurativa controriformistica, che può essere considerata a tutti gli effetti come antimanieristica ed antimichelangiolesca.