La pittura italiana nel nord e nel centro nel Cinquecento
Pagine correlate: Pittura veneta del Cinquecento e Pittori veneti del Cinquecento – Pittura del Cinquecento nord e centro 1 – Pittura del nord e centro del Cinquecento pag. 3 – al primo Cinquecento – al Cinquecento e Manierismo – al Rinascimento europeo – Correggio e i Pittori romagnoli del medio Rinascimento.
Frammenti:
Pittori del Cinquecento nel Nord Italia
È questo il periodo in cui la tematica narrativa ed episodica dilaga nelle pale d’altare, ottenendo come risultato lo svilimento dell’intimità e della grazia, proprie dei piccoli dipinti (si veda la pagina precedente).
Soltanto nella ritrattistica, unico campo in cui esiste il proseguimento della tradizione bronzinesca, i pittori toscani ed in particolare quelli fiorentini conservano intatta la loro consueta dignità, dall’Allori al Conte, da Santi di Tito al Chimenti (l’Empoli).
Questi ultimi sono alla ricerca di uno stile che non darà peraltro ottimi risultati; intanto un significativo flusso d’arte settentrionale si dirige, in questo periodo, verso il cuore di Firenze ad opera del Veronese (al secolo Paolo Caliari, 1528-1588 ) e di Iacopo Ligozzi (1547?.-1626).
Bernardino Poccetti (1542-1612) ha una pittura decisa, disinvolta ed elegante. Esso è uno spigliato decoratore che ama collegarsi alla maniera della Roma antica e di Raffaello, ma nelle sue opere si evidenziano anche richiami alla pittura di Andrea del Sarto. Al Porcetti viene dato l’incarico di realizzare la decorazione del corridoio agli Uffizi, dove esprimere a fondo tutte le sue peculiari capacità ornamentali. Questi affreschi risultano di gran lunga superiori a quelli narrativi realizzati nei chiostri di San Marco e di S. Bruno della chiesa della Certosa, che descrivono la vita di S. Antonino.
A Roma operano attivamente anche diversi artisti toscani di cui abbiamo già parlato nelle pagine precedenti. Tra questi ci sono Salviati, Iacopo del Conte (1510-15980) grande ammiratore di Andrea del Sarto e dello stesso Salviati, il Vasari e Daniele da Volterra (1509?.-1566), quest’ultimo amante della pittura michelangiolesca. La tematica decorativa di Roma è la materia primaria che aiuta a far nascere accademie ben organizzate ma con caratteristiche di mendacia e retorica.
Taddeo Zuccari (1529-1566) e Federigo Zuccari (1542?-1609) provenienti da Sant’Angelo in Vado simboleggiano, con la loro scuola, una singolare tendenza che in breve tempo diventerà quella ufficiale dei papi (affreschi della sala regia in Vaticano e del Palazzo Farnese di Caprarola).
Specie Federico, oltre che pittore è un celebre teorico dell’arte (“Idea dei pittori, scultori e architetti”) e con le sue opere pittoriche conquista alti consensi in gran parte d’Italia, giungendo addirittura ad ottenere importanti commissioni a Venezia, dove realizza, nella Sala del Maggior Consiglio, il “Federico Barbarossa davanti ad Alessandro III”. Grandi consensi li ottiene anche in Spagna all’Escuriale.
A Roma sta operando Girolamo Sicciolante da Sermoneta (1521-1580?) che porta avanti con forza l’eleganza decorativa di Perin del Vaga realizzando moltissime pale d’altare ed opere d’affresco, e fra le varie tendenze, si orienta verso quella della maniera di Sebastiano del Piombo che lo porta alla ritrattistica. In questa nuova tematica Sicciolante raggiunge un altissimo livello, paragonabile a quello del Bronzino (ritratto di Francesco Colonna a Palazzo Venezia, Roma).
Un altro grande ritrattista operante nella capitale è Scipione Pulzone da Gaeta (1550-1598) e con lui, sempre a Roma, dipinge fino alla fine del secolo, con un linguaggio alquanto eclettico ma piuttosto semplice, Giuseppe Cesari, meglio conosciuto come il Cavalier d’Arpino. In questo periodo gli artisti stranieri vengono più spesso nei centri artistici italiani e alcuni vi soggiornano a lungo. Uno di questi è Giovanni van der Straet di Burges, meglio conosciuto come lo Stradano, seguace del Vasari che si stabilisce a Firenze diventando un celebre decoratore, la cui pittura, pur avvicinandosi molto a quella dei fiorentini, riesce a conservare un qualcosa di nordico.
Nella capitale soggiornano i fratelli Matteo e Paolo Brill, famosi pittori fiamminghi che svolgono tematiche paesaggistiche, soprattutto il secondo, per i quali i soggetti, indifferentemente religiosi o profani che siano, si evidenziano come pretestuosi per la realizzazione di slavati paesaggi di gusto assai meticoloso. (A fianco un’opera di Paolo Brill: La caccia al cervo, anno 1590-95, olio su tela, )
Gli echi della pittura dell’Italia centrale, soprattutto della Toscana e degli ambienti romani, influenzano gran parte del meridione: quelli di Fra’ Bartolomeo si fanno sentire in Andrea Sabatini (1480-1530), meglio conosciuto come Andrea da Salerno; quelli di Raffaello in altri, tra i quali il Lama, il Curia e il Criscuolo.
Pirro Ligorio (1513-1583) di origine napoletana, sente gli influssi della scuola raffaellesca assorbiti durante il suo soggiorno nella capitale: nei suoi affreschi del “San Giovanni decollato” si evidenzia la scuola del Sanzio, e soprattutto quella di Giulio Romano. Altri pittori, tra cui Fabrizio Santafede (1560-1600?), Ippolito Borghese (morto nel 1627) e Belisario Corenzio (1558-1643), hanno uno stile più avanzato che già potrebbe considerarsi appartenere alla pittura barocca.
In Sicilia, escludendo Tommaso Laureti (1530-1602), di origine palermitana ma attivo in Romagna ed a Roma ed influenzato dalla pittura di Raffaello e di Michelangelo, scendono artisti dalle varie parti della penisola tra i quali Vincenzo da Pavia e Filippo Paladino di Casi in Val di Sieve, elegante artista della Toscana.
Continua con la Pittura del nord e centro del Cinquecento