Il Cinquecento e il Manierismo
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La punta più alta del classicismo
Lo studioso svizzero Heinrich Wölfflin (Winterthur, 1864 – Zurigo 1945) riconosce a pieno quel particolare momento di splendore della civiltà rinascimentale nel figurativo. Un periodo dove la pittura, soprattutto quella italiana, riesce ad esprimersi con tutto il suo vigore attraverso artisti che diventeranno un esempio per tutti i secoli a venire.
È questo il periodo degli insigni personaggi, quali Giorgione, Tiziano, Michelangelo, Correggio, Leonardo e Raffaello. Un periodo di altissimo valore che lo stesso Vasari (Arezzo 1511- Firenze 1578) si spinge a definire come “l’ultima età dell’oro”.
Ad oggi e con la nostra cultura, non è affatto semplice specificare la durata di un periodo di così sottile raffinatezza, incluso nel grande oceano rinascimentale in pieno fermento. Un momento, questo, certamente di breve durata, che si inserisce in un contesto in cui è già presente il germe della lenta ma potente crisi. Un periodo che riesce tuttavia, anche se per breve tempo, ad annullare questa crisi, e definirlo classico sarebbe troppo riduttivo. È questo un momento storico di eccezionale importanza, in cui gli ideali più alti – quali eleganza, armonia, serena raffinatezza, giusto e consapevole equilibrio tra la razionalità dell’uomo e le bellezze della natura, tra il sentimento dell’uomo e la divinità – già compresi nella cultura del Rinascimento, riescono in un eccezionale salto di qualità, di grande portata storica.
Il Manierismo
Corrente prevalentemente pittorica che copre gran parte del XVI secolo, nata dalla necessità dei pittori di superare i limiti dell’armonia, dell’ordine e della perfezione, che hanno contraddistinto il Rinascimento, ispirandosi alla “maniera”, uno stile fatto di eleganza, armonia e sicurezza.
Il Manierismo inizia intorno al 1525 e si conclude, per le tematiche religiose, intorno al 1563, continuando ancora qualche decennio per l’arte in generale.
Il termine “maniera” è sempre presente nel Cinquecento, ma con il passare del tempo assume diversi significati: il Vasari lo utilizza, ad esempio, per descrivere il virtuosismo artistico del pittore.
Con il passare dei secoli il significato della parola “maniera”, inteso dal Vasari, viene rafforzato e spesso utilizzato per dimostrare nell’arte non il virtuosismo, ma l’eccesso di virtuosismo e di artificiosità tecnica riguardante la composizione, gli effetti di luce, le numerose espressioni delle figure con altrettante varietà di pose, l’esasperata rappresentazione di intensi stati d’animo, l’importanza del drappeggio portato ai limiti del reale fino a diventare quasi innaturale, ed infine i colori delle figure stesse e degli sfondi portati agli eccessi a seconda della loro importanza.
Il Cinquecento, il tardo Rinascimento ed il Manierismo
Già si profilano in modo evidente le molte strade che la cultura dell’arte figurativa italiana sta percorrendo: strade che si intrecciano e si distanziano, approfondendo con forza casi particolari o dirigendosi con grande vitalità verso i principali centri culturali, ad esempio Roma, Bologna, Padova, Brescia, Verona, Venezia, Milano e Firenze.
Quale studioso d’arte europeo potrebbe immaginarsi, intorno agli anni venti, periodo in cui dominano le pitture di Michelangelo e Raffaello, che gli audaci sperimentalismi di alcuni pittori avrebbero potuto un giorno trionfare? Proverebbe sicuramente un senso di forte sconcerto vedendo, prima di raggiungere Roma, le opere del Correggio (Antonio Allegri 1489 – 1534) di prima maniera a Parma, dove la coloristica e l’accentuazione degli scorci e del movimento è portata al massimo, poi gli esordi di Pontormo (Jacopo Carrucci, Empoli 1494 – Firenze 1556 o 57) con le Storie dei santi (Galleria dell’Accademia di Firenze) e poi del Rosso Fiorentino (Giovan Battista di Jacopo ca. 1495-1540) con l’Incendio di Catania (Galleria Francesco I, Fontainebleau). Nel 1520 muore il giovane Raffaello e sette anni dopo, c’è la la triste vicenda del “Sacco di Roma”: è un decennio catastrofico, nel quale hanno il sopravvento le carestie, pestilenze, assedi e dure battaglie.
La prima conseguenza storico-artistica è quella della disseminazione dei grandi esponenti dell’arte, soprattutto dei pittori formatisi alla scuola di Raffaello Sanzio: Polidoro da Caravaggio (Polidoro Caldara, 1499/1500-1543) a Napoli ed in Sicilia, Giulio Romano (Giulio Pippi, Roma, 1499 – Mantova – 1546) a Mantova, Rosso Fiorentino e il Serlio (ca. 1475-1554) in Francia, Berruguete in Spagna.
La “maniera” moderna si allarga a macchia d’olio, ma allo stesso modo viene giudicata e, per certi aspetti, anche contrariata: è questo il cammino del Manierismo, sul cui riconoscimento e sulla cui cronologia è aperto uno dei più accesi dibattiti nella storia dell’arte.
Le voci più frequenti parlano di crisi del Rinascimento o di anticlassicismo. Ma già un punto di vista territoriale, come quello che consideri l’evoluzione artistica a Milano o a Venezia nel 1430 – 1440, accerterebbe molti fattori di equilibrio e consistenza, piuttosto che di indecisione o ripensamenti. Nel Seicento la parola “manierismo ” verrà usata come significato di “vuota imitazione” per l’operosità artistica nel Cinquecento inoltrato, con particolare riferimento a quella dell’Italia centrale, proprio come se fosse priva di qualsiasi cenno di valore creativo.
Tuttavia per molti artisti le biografie non ricordano nessun periodo di crisi o accenti di critiche negative, ovviamente escludendo alcuni casi eclatanti come quello di Pontormo, che lo stesso Vasari accusa di eresia o pazzia nella raffigurazione degli affreschi di San Lorenzo, o quello di Michelangelo, che nelle Rime ci ha lasciato una straordinaria testimonianza del suo intimo tormento spirituale.
Anche sulla scorta della concezione di “maniera” elaborata dalla critica ufficiale contemporanea, gli studiosi più recenti di Storia dell’arte distinguono come fenomeno caratteristico tutto l’insieme di fermenti anticlassici, che con motivazioni differenti, insorgono nei primi decenni del Cinquecento. Rispettando questo punto di vista, l’Aspertini e il Dossi (ca. 1486/89 – 1542) in Emilia, Pontormo, Rosso Fiorentino e Beccafumi in Toscana, risultano veri sperimentatori impegnati a contestare con forza la regola classica, spesso chiamando in causa suggerimenti che arrivano dalla parte più a nord Italia ed anche alpina. D’altra parte la loro subordinazione ai “maestri” del Rinascimento è certamente evidente, anzi nel caso di Pontormo è chiaro come il suo essere anticlassico provenga dalle stesse istanze di Michelangelo portate all’esasperazione: della liceità e del soggettivismo. D’altronde subito dopo, Greco, Tintoretto e Veronese, daranno tre diversi, personali ma prolifici risultati alla sazietà dell’equilibrio artistico rinascimentale.
Seguendo gli artisti dell’epoca e soprattutto Giorgio Vasari, si comprende che nella considerazione corrente la “maniera” è nata in fondo come caratteristica tipica del Rinascimento – la maniera moderna, appunto – laddove il livello soggettivo dell’artista “vince” l’imitazione della natura.
La soluzione dettata dal Vasari è a favore di un importante equilibrio tra maniera e verosimiglianza – «una licenzia che, non essendo di regola, fusse ordinata nella regola» – pur dando la preferenza all’aspetto individuale, sempre incoraggiato dal «retto giudizio». Con questa attitudine critica il Manierismo viene considerato come la principale variante interna della cultura artistico – figurativa rinascimentale. Quella cioè che entra con forza nella dialettica tra soggettivo e oggettivo, tra individuo e realtà. Poli che già l’Umanesimo aveva iniziato a differenziare perché l’imitazione del mondo naturale si dirigesse verso un ideale superamento dello stesso.
Dopo la breve ed energica esperienza romana di Raffaello e Bramante, che sembra ormai aver raggiunto lo scopo nell’orizzonte di un sicuro equilibrio, i due termini della questione si sono subito rivelati come i punti estremi di un rapporto di grande drammaticità, senza quella dimensione trascendente che li aveva tenuti uniti nella coscienza medioevale.
Si capisce anche come Michelangelo Buonarroti, già dal Tondo Doni e dalla cupola della Sistina, sia il punto di partenza di questo movimento. Un movimento che arriva al suo culmine nel Giudizio Universale e nelle tombe medicee a Firenze. Anche il tormentato cammino dei mutamenti religiosi, prima e dopo il concilio di Trento, ha diverse interpretazioni riguardo la cultura artistica e architettonica.
La forte identità del movimento protestante e di un certo intellettualismo coltivato in ambienti ad esso simpatizzanti, di alta classe sociale, trova diverse armonie con le tendenze artistiche più passionali e sofisticate del periodo. Per questo motivo la committenza del mondo cattolico decide di promuovere un linguaggio artistico popolare, chiaro ed opportuno, sia nella sostanza che nella disposizione affettiva. Da questo punto di vista la vena solare e fiduciosa della pittura di Gaudenzio Ferrari, come quella più nobile e superba di Tiziano Vecellio negli anni della Madonna di Ca’ Pesaro riescono a rinfrancare le intenzioni della Chiesa. Nasce anche un nuovo senso della realtà, che nella pittura di Savoldo e Moretto (1498-1554) mette in evidenza gli aspetti più conformi alla realtà ed alla devozione, innalzando con dense gamme cromatiche e luminosi squarci di luce il contenuto dinamico degli affetti.
Risulta di estrema facilità intravedere in questo linguaggio pittorico denso di realtà il preannuncio della poetica del Caravaggio. Ben diverso è il formalismo estetizzante delle raffinate figure del Parmigianino (1503-40), dalla Madonna di Dresda agli affreschi della Steccata a Parma: allievo di Correggio ha una lunga permanenza a Roma e non gli sono certamente estranei gli sviluppi del Manierismo in Toscana. La sua pittura è colma di artifizi e di ricercati esperimenti di composizione.
Le architetture e le decorazioni artistiche – pittoriche di Palazzo Te contraddicono con regolarità, regole e misure, nel tentativo di percepire dalla natura l’aspetto più semplice e vitale. Sperimentazioni ed ambiguità, queste, tra ambiente e artifizio, come sarà nelle figure raccapriccianti di Bomarzo e di Pratolino. Tali tendenze avranno un grande sviluppo in tutta Europa, e con più forza in quella fiamminga e germanica, dove è attuale un’affannosa ricerca della varietà e della discordanza.
Il ruolo dei Carracci nel superamento del Manierismo.
Nella tarda metà del Cinquecento è attiva l’Accademia dei Desiderosi (diventata nel 1590 Accademia degli Incamminati), istituzione fondata dai Carracci. Questa rimarrà per molto tempo il punto di riferimento classico dell’arte del nuovo secolo, con il grande intento di riportare la realtà nell’arte della pittura. Tutti e tre gli artisti (Annibale, Ludovico e Agostino) hanno un eccezionale talento nel disegno e già si staccano dalle regole manieristiche nella scelta di tematiche diverse da quelle prettamente classiche.
Vige in questo periodo una vera e propria gerarchia in fatto di rappresentazioni: prima figure divine, poi quelle mitologiche ed infine raffigurazioni di genere.
Tutti gli studiosi di Storia dell’arte sono d’accordo nel considerare eclettici i Carracci, in quanto influenzati da più scuole pittoriche.
Uno tra gli obiettivi principali della loro Accademia è quello di proporre una pittura comprensibile a tutti.
Se il manierismo è elitario e legato a discipline accademiche, i Carracci fanno una pittura semplice e realista e fondano un’accademia libera diversa da quelle tradizionali. Un’accademia non sovvenzionata da istituzioni laiche o religiose ed aperta a tutti. Se i manieristi sono elitari, i Carracci amano la semplicità e il dipingere in modo diretto e realista.
Paolo Caliari e Jacopo Robusti
Veronese: Biografia e vita artistica – Le opere – la critica
Tintoretto: Cenni biografici – Le opere – la critica
Paolo Caliari
Paolo Caliari, il Veronese (Verona 1528; Venezia 1588), è il più gaudioso dei pittori manieristi. Attento a Giulio Romano, al raffaellismo del Correggio, all’eleganza del Bronzino, alle architetture di Palladio e Sanmicheli, non ama problemi che non siano di forma.
Colorista eccelso, capace di far brillare dello stesso incanto il dettaglio sfarzoso di un costume e la muscolatura di un cane da caccia. Vertiginoso inventore di architetture dipinte, interpreta la gioia di vivere della Venezia cinquecentesca.
Lascia fra i capolavori un ciclo stupendo di affreschi alla villa Bari di Masèr, le imponenti Cene, le tele nel palazzo Ducale e il prodigioso insieme delle opere a San Sebastiano, sempre a Venezia.
Il Tintoretto
Jacopo Robusti, il Tintoretto (Venezia 1518-94), è il grande maestro del Manierismo drammatico a Venezia, uscito dalla costola di Tiziano e dal romanismo espressionista del Pordenone. Pittore di stupefacente velocità e prolificità, influenza profondamente il gusto barocco. Fra le sue opere più spesso ricordate, le serie per la Scuola Grande di San Marco e per la Scuola Grande di San Rocco e le opere per il palazzo Ducale, sempre a Venezia. Di calda sensualità le sue figure femminili, fra cui la Susanna ora a Vienna. Nella pittura religiosa, da ricordare almeno il giudizio finale della Madonna dell’Orto a Venezia e il Ritrovamento del corpo di San Marco a Brera. Grande forza d’introspezione psicologica nei ritratti.
Frammenti
- Nei secoli la parola Manierismo assume significati diversi.
- L’ultima fase della rinascita, che occupa in pieno il secondo cinquantennio del sedicesimo secolo, è chiamata Manierismo.
- Il termine Manierismo nasce come definizione di un ambiguo significato di basso livello. Quando il Vasari diffonde la teoria del progresso nel campo dell’arte, il termine cambia significato.
- Nel Seicento la parola Manierismo indica semplicemente “vuota imitazione dell’ultimo cinquantennio del secolo precedente.”
- Nel Seicento la parola Manierismo condanna principalmente le regioni centrali e soprattutto la Toscana perché “prive di ogni valore poetico e creativo”.
- I manieristi portano sulle spalle il peso di un’eredità troppo alta, lasciatagli dai grandi esponenti della pittura della prima metà del secolo. Da questa eredità inizia la condanna, fortunatamente rientrata nei secoli. Nascono infatti molti circoli intellettualistici nei vari centri della penisola per contrastare il nuovo fenomeno disorganico e e contraddittorio.
- Il Manierismo rappresenta (rappresentava) la crisi dell’arte che sfocia nello “scadente ed effimero barocchismo”. Lo stesso scadente ed effimero barocchismo che verrà altamente glorificato soltanto nel Novecento.
- Manierismo = Decadenza. Ma quale decadenza!?!?! Il Manierismo porta dentro di sé valori altamente poetici ancora di stampo rinascimentale. Rielabora con eleganza e con franchezza, anche se polemica, le grandi scoperte stilistiche del grande Rinascimento.
- Manierismo! Ormai questa parola, a noi italiani non fa più paura e non ci dà più l’idea di ambiguità. In alcuni paesi d’Oltralpe preferiscono ancora definire quel cinquantennio con il comune termine di “Tardo Rinascimento”.
- Da tenere presente che il linguaggio rinascimentale nel Cinquecento viene imposto in tutto il continente occidentale, originando nelle varie regioni d’Europa un concentrato di esperienze gotiche e rinascimentali che rimarranno come solide basi per i secoli a venire.