La pittura gotica e Simone Martini
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La pittura poetica di Simone Martini (1284/85-1344) parte certamente da Duccio di Boninsegna.
La sua Maestà, realizzata tra il 1313 ed il 1315 (con ininterrotte modifiche fino al 1321) ed attualmente custodita nel Palazzo Pubblico di Siena, ne evidenzia le analogie ed i contatti con il grande Maestro.
La corrispondenza con la Maestà di Duccio viene superata dall’integrazione in prospettiva del baldacchino e dalle numerose figure che compongono la folla, in atteggiamenti eleganti e raffinati, con costumi sfarzosamente guarniti.
La ferma inflessione che riflette il suo spirito gotico è certamente intenzionale, come intenzionali sono le caratteristiche gotiche del trono cuspidato. Nella Maestà si doveva rappresentare una “udienza alla corte divina”, come era ormai risaputo negli anni della sua realizzazione, invece si presenta come una solenne cerimonia, dove la folla in processione si ferma, affinché la Patrona di Siena riceva i fiori dagli angeli e la venerazione dai suoi santi. La Patrona di Siena presenta, come un simulacro, il Bambino in posizione eretta ed in prospettiva frontale.
Le accennate eleganza ed aristocrazia delle figure componenti la folla, indicano un avvio di Simone Martini ad intraprendere la strada per incarnare l’aggraziato ideale cavalleresco, una forte tendenza che da poco si era maturata in Francia, e risulta che quest’ultima non abbia mai interrotto i rapporti artistico-culturali con la Toscana ed in modo particolare con Siena. Questo ci spiega anche il motivo per cui, nel 1317, Simone Martini si trovasse a Napoli alla corte francese dei D’Angiò per la realizzazione della pala con San Lodovico da Tolosa, fratello del re Roberto, santificato nello stesso anno.
L’allungata immagine del santificato vescovo di Tolosa, ripresa in prospettiva frontale in un rigido atteggiamento, rispetta un ritmo assai lineare e semplice che aggiunto ad un magnifico cromatismo di tendenza brunita, e – immersa in uno sfondo aureo – conferisce a tutto il contesto valenze di astrazione spirituale. San Lodovico da Tolosa, incoronando Roberto d’Angiò, gli conferma la sacra investitura del regno.
L’opera è da considerare come una glorificazione della famiglia d’Angiò, narrata nella predella con cinque storie relative alla vita del Santo. In queste narrazioni, le linee prospettiche convergono verso un solo punto coincidente con la parte centrale, conferendo all’ambiente una spazialità e quindi volumetria di variabile entità. L’atmosfera è fiabesca, quasi una semplificazione delle maniere di Duccio.