La pittura gotica- La pittura di Giotto: Frammenti
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Si dice di una leggenda che vede Giotto di Bondone (1266-1337, il cui nome è forse diminutivo di Angiolo o Ambrogio) come pastore nel Mugello, scoperto e incoraggiato alla strada dell’arte da Cimabue.
Anche la sua formazione, pare sia avvenuta sotto la guida di Cimabue. Giotto immette nella pittura del periodo, ancora influenzata dalle ultime ventate della cultura di Bisanzio, una nuova, sana e vigorosa linfa vitale.
Egli, intorno alla fine del XIII secolo, si trova a lavorare ad Assisi, nella basilica Superiore di San Francesco, per la decorazione degli interni, iniziata da Cimabue e poi continuata da importanti maestri della scuola romana.
Il vasto ciclo narrativo su cui opera Giotto come caposcuola, è quello della vita del Poverello, comprendente ventotto storie, alcune da lui realizzate per intero, altre con l’aiuto di coadiuvanti e le ultime quattro che sembra non siano state neanche sfiorate dal suo pennello.
Giotto si ispira alla leggenda francescana di San Bonaventura (Legenda Maior), già narrata con la coloristica degli artisti duecenteschi, raffigurando le storie con una inedita semplicità, che invita l’osservatore a sostare davanti a quelle equilibrate composizioni. Ad esempio nella popolare scena della vita di san Francesco La Donazione del mantello al povero gentiluomo («Or avvenne che si incontrò con un cavaliere nobile, ma povero e malvestito. Mosso a compassione, spogliatosi lo rivestì»), sia il santo che il nobile poverello si evidenziano con un valenza di importante rilievo, collocati in primo piano a confronto di uno sfondo paesaggistico che mantiene tutte le caratteristiche della pittura duecentesca.
Se ben si osservano le pieghe del mantello, oggetto della donazione, si riesce ad intravedere la contrastata ed incisiva luministica di Cimabue. A differenza di questi, è molto marcata la scansione dei vari piani e sono più sviluppate le qualità coloristiche. Le forme ed il modellato, che risultano più compatte, unite al suo più intenso senso spaziale, rilevano le influenze della scuola romana, ed in modo particolare quelle del Maestro Romano (Maestro d’Isacco).Ma Giotto ha un stile personalissimo.
Nella storia della Rinunzia ai beni terreni («L’amante vero della povertà non indugiò un minuto. Eccolo dinanzi al Vescovo. In un baleno, alla presenza di tutti si spoglia e ridona le vesti a suo padre») si trovano due gruppi di persone, l’uno di fronte all’altro in un acceso dibattito, dove spiccano un astioso Pietro Bernardone (gruppo di sinistra) ed un irremovibile Vescovo di Assisi, rigido come la squadrata paesaggistica dello sfondo.
Tra questi è collocato San Francesco, in atteggiamento di preghiera con le mani giunte innalzate al cielo e nettamente delineate in un fondo azzurrino. Tutto il resto, compresa la folla collocata in più piani, assume un’importanza secondaria, cioè semplicemente una valenza corale di gruppo.
La storia della Cacciata dei demoni da Arezzo («Trovandosi ad Arezzo quando la città era tutta sconvolta da lotte, vide demoni esultanti che incitavano i cittadini all’odio. Mandò allora frate Silvestro alla porta della città perché li cacciasse. Questi cominciò a gridare: «In nome di Dio, via di qui demoni tutti») e la scena dell’Estasi di San Francesco danno l’idea della forza giottesca nella raffigurazione delle architetture.