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Citazioni e critica a Seurat

Citazioni e critica a Seurat (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)

Pagine correlate all’artista: La critica del Novecento – Biografia e vita artistica – Le opere – Il periodo artistico – Bibliografia.

Cosa hanno detto i critici della Storia dell’arte su Seurat:

Se, per esempio, nella Grande Jatte di Seurat si considera un decimetro quadrato ricoperto di un tono di colore uniforme, su ogni centimetro di tale superficie si ritroveranno, in una ridda turbinosa di piccolissime macchie, tutti gli elementi costitutivi del tono. (F. Feneon).

Un prato in ombra: tocchi più fitti e numerosi rendono il colore locale dell’erba; altri, di colore arancio e sparsi, esprimono l’azione solare poco sensibile; altri ancora, di porpora, fanno intervenire il complementare del verde; un blu cianico, provocato dalla vicinanza di una chiazza d’erba al sole, accumula le sue punteggiature verso la linea di demarcazione e le rarefa progressivamente al di qua di essa.

A formare la chiazza concorrono due soli elementi, il verde e l’arancio solare, perché ogni reazione muore sotto quel furioso assalto di luce. Poiché il nero è non-luce, il cane nero si colorerà delle reazioni dell’erba e la sua dominante sarà perciò il porpora intenso, ma sarà anche attaccato dall’azzurro cupo suscitato dalle, zone luminose vicine. La/scimmia al guinzaglio sarà punteggiata di un giallo che è la sua qualità personale, e macchiettata di porpora e di oltremare. Insomma, certamente, a scriverle le indicazioni risultano brutali, ma nel dipinto sono realizzate in un dosaggio complesso e delicato.  F. feneon, Les Impressiannistes en 1886, 1886.

… Quanto al punteggiato, lo trovo una autentica scoperta per creare aureole e altro ; ma c’è già da prevedere che questa tecnica, come qualsiasi altra, diventerà un dogma universale. Ragione di più perché la Grande Jatte di Seurat, i paesaggi a grosse punteggiature di Signac, il battello di Anquetin siano destinati a diventare col tempo ancora più personali, ancora più originali.   Van Gogh nella Lettera al fratello Theo, 1888.

… Qualcosa viene ad aggiungersi al merito che si è conquistato Georges Seurat, di avere inventato un mondo espressivo: qualcosa di molto interessante. Il nuovo metodo, cosciente di ciò che abbandona, rinuncia a tutti i vantaggi che sono forniti dal caso, a tutti gli effetti felici che possono essere dati da una velatura, da una pennellata accidentale; vuoi essere debitore soltanto all’applicazione rigorosa dei principi in cui si concreta la sua fede. Questo è essenziale. Ogni commento è inutile: tutti quelli che lavorano conoscono il prezzo di un tale sacrificio. Bisogna essere persone fuori del comune per preferire al successo le idee in cui si crede … th. natanson,: Georges Seurat, in “La Revue Bianche”, 1900.

Alcuni dei paesaggi di Seurat conferiscono, per così dire, un nuovo significato all’idea che possiamo avere della purezza, della fluidità e della freschezza. I suoi personaggi, nella veste ieratica che non potevano non assumere dato il concetto che Seurat aveva dell’arte, sembrano muoversi con gesti così definitivi e così rivelatori del loro carattere, che sembrano fissare non già un istante nella durata, ma la funzione stessa degli uomini nella loro esistenza quotidiana. Così, non appena ci si accosta criticamente a una tale arte, se ne tocca immediata­mente l’essenza. E. verhaeren, Notes: Georges Seurat, in “Nouvelle Revue francaise”, 1909.

Nessun artista mi fa pensare a Molière come Seurat, al Molière del Borghese gentiluomo, ch’è un balletto pieno di grazia, di lirismo e di buon senso. E tele come il Circo o lo Chahut sono pure balletti pieni di grazia, di lirismo e di buon senso. G. apollinaire, Les peintres cubista, 1913 (ed. it. 1945).

… Se l’immaginazione del pittore è la facoltà di reagire con un’immagine all’impatto del mondo visibile sulla sua sensibilità, Seurat deve essere dotato di un’immaginazione molto acuta per potersi sedere davanti a qualunque panca, albero, muro che tanti altri hanno rappresentato prima di lui, senza che la loro definizione si sostituisca nemmeno per un istante alla sua visione … Le invenzioni di Seurat appartengono realmente alla categoria architettonica per l’equilibrio, la nudità, la solidità: esse esaltano soprattutto la voluttuosa lentezza con cui sfugge gli sguardi l’ampia rotondità di un albero o di una gonna, l’orgogliosa e tagliente decisione con cui i parapetti .o i tetti delle fabbriche tagliano rigidi il suolo, spezzano il cielo, per raggiungere inflessibili i loro scopi imperiosi; celebrano l’abito maschile coi suoi duri limiti … Ma non basta che un pittore riveli una concezione originale, come non basta che la proponga in segni di sua invenzione, curve o rette nuove: occorre anche che quei segni, perché noi ci sentiamo attratti a decifrarli, commuovano innanzitutto il nostro occhio attraverso l’azione sensuale dei bianchi e dei neri, o dei colori combinati che li rendono visibili. Le relazioni tra questi elementi direttamente sensibili sono quelli che i tecnici chiamano rapporti. Esse sono analogie di simili (affinità di un certo bianco per un certo altro bianco, di un certo rosa per un certo rosa, di un certo nero per un certo nero), oppure analogie di contrari (affinità di un certo bianco per un certo nero). Tali analogie o affinità presentano gradazioni che possono impressionare la nostra retina, e conoscere tali gradazioni significa essere pittori. Vi sono molti pittori, vi sono cioè molti tecnici capaci di interessare i sensi per mezzo di macchie felicemente scelte, ma essi non sono necessariamente inventori di umanità. Sarà dunque vano lodare in un artista solo quei rapporti: essi infatti non possono essere il suo fine, ma solo la strada necessaria del suo pensiero verso di noi che egli ci invita a ripercorrere verso di lui. I rapporti di Seurat sono vie dirette, dall’emozione dell’occhio a quella del cuore …       L  cousturier, Georges Seurat,  “L’Art décoratif”, 1914.

L’influenza di Seurat sul nostro secolo è così profonda che tele come il Circo e lo Chahut furono decisive anche per l’orientamento futurista, anche se una migliore presa di coscienza del genio di Seurat e dei suoi esatti intendimenti avrebbe dovuto impedire iniziative così sterili. Inquietudine delle forme in movimento! Se si torna col pensiero all’atmosfera della Parigi artistica di quei tempi, si deve ammettere che nessun pittore in nessuna epoca fu mai più isolato di Seurat. Eppure, come ho detto, ora che le testimonianze mediocri perdono rilievo, e che quell’epoca comincia ad assumere il proprio valore storico, Seurat si rivela ai nostri occhi incantati come il vero icono-grafo di essa. Tutta la letteratura del naturalismo cade in polvere alla ventata che attraversa la Grande jatte, e le gambe nere parallele dei canaglieschi burattini dello Chahut segnano un folklore durevole. Col tenero rigore della sua architettura, Seurat giunge a qualcosa che è al di là del pittoresco: un metapittoresco, la cui essenza resta al di fuori della notazione aneddotica, di quella notazione aneddotica che l’impressionismo prolunga innocentemente nella simpatica illusione di contenerla.  A. salmon, La révélatìon de Seurat, 1921.

Mentre Sisley e Monet coltivavano i più pericolosi paradossi pittorici e sfioravano l’abisso dell’evanescenza, Seurat, senza nulla perdere della sua sensibilità impressionistica, senza rinunciare al suo senso delle modulazioni e soprattutto senza operare un ritorno all’arte dei musei, sa trovare d’istinto forme spoglie e pure quanto quelle dei primitivi … … Della luce che, con gli impressionisti, disgrega gli oggetti sino. a renderli trasparenti Seurat si serve invece per fissare le forme nell’impasto pittorico. Con ciò egli torna ad integrare la pittura nel suo vero campo: invece di lasciarsi abbagliare come gli impressionisti da tutti i miraggi del sole, egli impone loro un limite che è dato dal muro. Più un quadro è grande, e più deve avvicinarsi nell’aspetto all’affresco primitivo, di cui costituisce una versione ridotta. E l’affresco ammette soltanto il suggerimento della profondità: una profondità relativa, dunque, più propria a soddisfare lo spirito che i piedi del turista, che finì per diventare la più tenace preoccupazione di Cézanne, di Renoir e di Seurat. Tutti e tre la raggiunsero imprimendo alla luce un ritorno costante su se stessa: ma mentre Renoir ottiene una pulsazione del chiaroscuro sul piano verticale mediante onde sferiche e sovrapposizioni di globi disuguali, Gézanne e Seurat l’ottengono con l’oscillazione che parte dalla linea come elemento regolatore, e giunge a una specie di scala il cui ultimo gradino ritornerebbe a livello del primo. Creando tenui declivi, gradazioni regolari, un sovrapporsi di spigoli brillanti dall’alto in basso del quadro, che essi chiudono completamente, Seurat giunge a mantenere fedele il suo quadro alla parete che esso è destinato a ricoprire. Egli veste in qualche modo la nuda parete col suo quadro : ma invece di appenderlo inerte contro il suo supporto come farebbe un decoratore, lo lascia ondeggiare dolcemente, gli imprime un moto di vita misurata. Il cubismo che stava per nascere consistette in parte in una amplificazione di quel meccanismo plastico di cui ho ten­tato la difficile dimostrazione …

Seurat fu dunque un inventore di tecniche, un innovatore nel pieno significato del termine. Nonostante la sua opera non sia vasta, egli è uno dei fari che guidano una giovane generazione che si è mossa alla ricerca di un’arte spiritualmente e materialmente durevole: materialmente, per la subordinazione del colore perituro alla forma che sopravvive a tutte le alterazioni del pigmento ; spiritualmente, per la mirabile operazione di rifusione del mondo nel crogiolo dell’immaginazione. A. lothe, Seurat, 1922.

… Seurat ci appare uno e trino: è il chimico del tono, l’uomo delle pazienti analisi e dei dosaggi; è il poeta più sensibile all’incanto dell’involucro, alla carezza delle penombre, a quella specie di nebbia psichica in cui vede ovattati i viventi; ed è infine lo stilista, l’inquieto ricercatore di quella geometria segreta, di rette, curve, spirali e arabeschi che, imponendo alle forme un ritmo e una cadenza, ce le fanno sembrare più misteriosamente belle … Siamo agli antipodi della ‘impressione’ pura, nel campo di una magica irrealtà che conserva intatto l’incantesimo dei sogni più delicati, lo spirito e la sensibilità della cosa vista, ma che non lascia niente al caso o al capriccio.

Si avverte che quest’arte non è il portato dell’impressionismo, ma espressione di una estetica opposta benché nata da esso. H. focillon, Le salon de 1926, in “Gazette des Beaux-Arts”, 1926.

La cosa più notevole in Seurat non è di avere scelto questo o quel procedimento, ma di avere avvertito con tanta precisione che era necessario imporsi delle costrizioni. Egli afferma di non conoscere l’impressionismo, ma con questo non reagisce contro una determinata scuola bensì contro quella mancanza di disciplina di cui tutta la pittura del diciannovesimo secolo aveva avuto a soffrire. Perseguita l’idea di ‘caso’ e di ‘improvvisazione’: così quando verso il 1910 alcuni giovani [littori affiggeranno tra due sculture in legno africane una fotografia del Circo o dello Chahut essi non intenderanno sostenere l’uso dei colori puri e della mescolanza ottica, ma dimostrarsi grati a Seurat per aver ritrovato, in ciò pari a Cézannc, le grandi leggi dello stile e della composizione, coll’affermare che l’organizzazione lineare di un quadro è importante quanto l’organizzazione delle particelle colorate. C. roger-marx, Georges Seurat, in “Gazette des Beaux-Arts**, 1927.

Oltre a lasciare ai posteri un’opera di notevoli capacità espressive, Seurat trasmette alle generazioni future delle illuminazioni estetiche, dei ritrovati tecnici di fondamentale interesse. È tra i primi pittori che alla fine del diciannovesimo secolo cercarono di liberare la pittura dalla costrizione del soggetto e dall’imitazione servile, di far sentire il potere dei volumi, cosa di cui il cubismo beneficerà ampiamente, di innalzare la natura a una espressione nuova, a effetti inattesi. ch. zervos, “Un dimanche a la Grande Jatte” et la technique de Seurat, m “Cahiers d’Art”, 1928.

continua

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