Citazioni e critica su Paul Gauguin (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)
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Quello che ha detto la critica ufficiale della Storia dell’arte di Gauguin:
[…] Non esito ad affermare che tra i pittori contemporanei che hanno trattato il nudo, nessuno lo aveva fatto finora con una nota così violentemente reale […]. (J. K. Kuysmams).
[…] Non esito ad affermare che tra i pittori contemporanei che hanno trattato il nudo, nessuno lo aveva fatto finora con una nota così violentemente reale […]. Sono felice di salutare un pittore che, come me, ha provato un invincibile disgusto per le modelle, coi loro seni misurati e rosa, coi ventri corti e duri, modelle messe lì dal cosiddetto buongusto, disegnate secondo ricette imparate copiando i gessi. […] A dispetto dei titoli mitologici e dei panneggi bizzarri di cui riveste i propri modelli, Rembrandt è stato finora il solo che abbia dipinto il nudo […].
Mancando comunque il genio che era quel pittore meraviglioso, sarebbe davvero auspicabile che artisti di talento come Gauguin facessero per il proprio tempo quello che van Ryn ha fatto per il suo, e riprendessero quindi, nei momenti in cui il nudo è possibile, a letto, nello studio, in accademia e al bagno, delle donne francesi il cui corpo non sia fatto di pezzi messi insieme a caso, avendo un braccio preso da una modella, la testa e il ventre da un’altra, e per le quali inoltre, a tutti questi raccordi, si aggiunga l’imbroglio di un procedimento proprio agli antichi maestri […]. Perciò ripeto: Gauguin per primo, dopo molti anni, ha tentato di raffigurare la donna dei giorni nostri e, malgrado la pesantezza dell’ombra che scende dal viso sul petto della modella, vi è pienamente riuscito, e ha creato un dipinto coraggioso e autentico. J. K. huysmams, in “L’Art moderne’, 1880.
No, Gauguin non è stato formato dalla costola di Chavannes e nemmeno da quella di Manet o di Bastien Lepage! Chi è allora? È Gauguin, il selvaggio che odia una civiltà opprimente, qualche cosa di simile a un titano che, geloso del suo creatore, a tempo perso compie la sua piccola creazione, il bambino che smonta i giocattoli per costruirne altri, quello che rinnega e che sfida, che preferisce vedere il cielo rosso piuttosto che blu come la folla. Mi sembra, in verità, […] di cominciare finalmente ad avere una certa comprensione dell’arte di Gauguin. A un autore moderno è stato rimproverato di non dipingere esseri reali ma ‘solamente’ di costruire lui stesso i suoi personaggi. ‘Solamente’! A. strindberg, prefazione al Catalogo della vendita all’Hotel Drouot di Parigi, 1893.
Nei quadri di Gauguin la forma umana si innalza piena e diritta. Generalmente in piedi, nell’atteggiamento dei vegetali e degli esseri ispirati dalla natura. Questa verticalità non è imposta dalla pesantezza, dal richiamo del suolo, come in Cézanne: è lo sprizzare della linfa terrestre che si erge senza deviazioni. Uno slancio ingenuo eleva dolcemente i corpi. […] Al primo momento si può giudicare banale il disegno largo delle membra, risultante da due linee guidate da un parallelismo sommario. Ma se i nodi muscolari sono dissimulati è perché nulla distolga gli occhi dall’accompagnare il movimento. Tutte le semplificazioni, lungi dal costituire una ricerca di barbarie, servono soltanto per la comodità. Si creano rapporti così soavi che costringono ad accorgersi che siamo in pace. Talvolta addirittura non è avvertibile alcun gesto preciso che determini questa unione, prodotta soltanto da un certo atteggiarsi dell’immobilità. Ogni forma, attraverso un certo modo che essa ha di essere solitaria, rende responsabile di sé tutte le altre. Tanta armonia deve necessariamente essere premeditata. Gauguin non ha la credula pazienza di Cézanne. Non aspetta di ottenere un accordo degli oggetti a forza di copiarli. Nei suoi paesaggi linee flessibili traversano i campi e con la loro sinuosità orizzontale legano gli alberi agli alberi. Eppure non si fa violenza alla natura. La composizione si accontenta di risvegliarla: discende verso le cose, le tocca in silenzio, come si avverte con la mano qualcuno che dorme, poi lascia che si rialzino liberamente. Non fa altro che assisterle con la sua molteplice presenza, che sollecitare il loro sviluppo con la sua invisibile delicatezza. J. rivière, in ‘Nouvelle Revue francaise, 1911.
Forse non fu lui ad avere inventato il sintetismo, che attraverso il contatto con i letterati divenne simbolismo; E. Bernard è estremamente reciso a proposito di tale controversa questione. Ma Gauguin ne era comunque il maestro, il maestro incontestato, colui di cui si raccoglievano e si diffondevano i paradossi, di cui si ammiravano il talento, la facondia, il gesto, la forza fisica, la carogneria, l’immaginazione inesauribile, la capacità di resistere all’alcool, gli atteggiamenti romantici. Il mistero di questo suo ascendente consistette nel fornirci una o due idee semplicissime, necessariamente vere, nel momento in cui mancavamo totalmente di insegnamenti. Così, senza aver mai cercato la bellezza nel senso classico, egli ci indusse quasi subito a preoccuparcene. Voleva innanzitutto rendere il carattere, esprimere 1′ “intimo pensiero”, anche nella bruttezza. Era ancora impressionista, ma voleva leggere il libro “in cui sono scritte le leg gi eterne del Bello”. Era ferocemente individualista, eppure si manteneva vicino alle più collettive e anonime tradizioni popolari. Da queste contraddizioni noi traevamo una legge, un insegnamento, un metodo. M. denis, Théories, I890-1910,1912.
Opera stranamente cerebrale, appassionante e anche ineguale, ma stimolante e superba fin nelle sue ineguaglianze. Opera dolorosa, perché per capirla, per avvertirne un urto bisogna avere esperimentato il dolore e l’ironia del dolore, che è la porta del mistero. Talvolta si eleva sino all’altezza di un mistico atto di fede; talvolta si sgomenta e si contorce nelle tenebre angosciose del dubbio. Ma sempre ne emana l’amaro e violento aroma dei veleni della carne. Miscuglio inquietante e saporoso di splendore barbarico, di liturgia cattolica, di sogni induisti, di fantasia gotica, di simbolismo oscuro e sottile; contempla di volta in volta realtà aspre e voli sconfinati di poesia, attraverso i quali Gauguin crea un’arte assolutamente personale e tutta nuova: arte di pittore e di poeta, d’apostolo e di demone, e che riempie d’angoscia. O. mirbeau, Des artistes, 1922.
Vivendo sempre nella luce, non è ossessionato dal desiderio di rivaleggiare con essa e di catturarne l’illusione. Dispone i colori con calma, in larghe zone ben definite, come se fabbricasse vetrate o lavorasse a intarsio : le sue grandi figure, che sembrano ritagliate nel legno di una piroga, si commettono in un universo in cui tutto resta, dove niente passa, ne la forma ne il tono. Questa stabilità, questa assenza di equivoco danno al colore una straordinaria potenza poetica. Sotto la cera di cui talvolta è ricoperto, il colore resta intenso, ma possiede sempre le ragioni armoniche della vista e dello spirito. Così forse si spiega lo strano fascino delle sue nature morte che sono sempre composizioni di oggetti, in cui non ricorre ad altra geometria che quella di un accordo misterioso e premeditato, e che anche quando sono fatte di elementi familiari e di fiori quotidiani, conservano una qualità rara e lontana. […] L’uomo, la bestia e la pianta tornano a combinare l’antico arabesco così prezioso agli occhi dei popoli di un tempo. che hanno cercato di chiudere nei suoi nodi tutto l’enigma del mondo. Gauguin è riandato alle rive di questo passato senza tempo, senza uno sforzo artificiale e letterario. Sembra che vi sia sempre vissuto durante usa lunga serie di anni e che infine veiixa a noi di là, al di la delle ombre e dei giorni, tenendo nelle mani un dio di un legno incorruttibile, polito con un attrezzo di pietra. H focillon, prefazione a Gauguin et ses amis di R. Gogniat, 1934.
Quel poco che Gauguin ha dato alla pittura è una concezione nuova della natura, in cui confluivano le sue preoccupazioni filosofiche e morali, e soprattutto le sue preoccupazioni letterarie. Ma esse si mostrano discrete, e non alterano in nulla le qualità plastiche della sua opera. Infatti Gauguin ha saputo accoppiare le qualità visive alle qualità visionarie, ha trovato un’armonia perfetta tra ciò che osservava e ciò che immaginava. La trasposizione, benché sia ovun-que sensibile nella sua opera, resta sempre equilibrata e per ciò stesso conferisce all’arte un’incontestabile unitarietà. I suoi calcoli, i ragionamenti, le intenzioni letterarie li conosciamo per ciò che ce ne ha detto l’artista, e mai essi superano i limiti al di là dei quali la pittura cessa di essere opera plastica per diventare soltanto illustrazione. Il limite tra questi due generi è spesso delicato da definire, e i discepoli di Gauguin non sempre hanno saputo rispettarlo; ma nessuno può essere considerato responsabile dei suoi imitatori, o piuttosto ciascuno ne è responsabile soltanto nella misura in cui da loro un cattivo esempio. Di ciò non sapremmo accusare Gauguin, perché l’opera che egli ha realizzato è opera pittorica e decorativa in quanto, pur essendo intuitivo e ragionante, pittore e poeta, ha espresso ciò che dormiva in lui con mezzi eminentemente pittorici, con il colore e la linea. Se ne servì proprio perché per mezzo di essi poteva raggiungere un’intensità di espressione che le parole e i suoni gli negavano. La candida brutalità della sua opera, la soave voluttà, il primitivismo sereno sono acquisizioni della sua tavolozza e del suo senso decorativo. Sono appunto tali acquisizioni che imprimono alla sua arte un carattere così forte e personale, e che hanno ispirato a Van Gogh quella profezia che non è stata smentita: “Credo alla vittoria di Gauguin J. rkwald, Gauguin, 1938.
Occorre riconoscere che se Bernard può essere considerato – come scrisse il critico d’arte Roger Marx – “il padre del simbolismo pittorico”, Gauguin ne è senza dubbio il figlio! prodigo. Nel 1888, Emile Bernard aveva vent’anni. Dotato di cuore ardente e spirito giovanile, fervido di idee che intendeva esprimere con qualsiasi mezzo […], tuttavia non cercava, attraverso la sintesi, che di tradurre ciò che vedeva. Nelle sue tele, realizzate con abilità prodigiosa, il disegno appare un po’ secco, e i toni generalmente acidi. Crea, ma non ricrea, e lo riconosceva egli stesso dichiarando: “Dipingendo a memoria avevo il vantaggio di abolire inutili complicazioni di forme e toni”. Nella stessa epoca, Gauguin aveva quarant’anni. La vita l’aveva molto segnato. La sua volontaria povertà, la tristezza, le angosce, le sofferenze gli permettono di meditare meglio e comprendere i misteri degli esseri e delle cose. Il mondo che ricrea dichiara la profondità del suo pensiero e le forme che appaiono nelle sue tele sono di una ricchezza incomparabile, con i loro tratti potenti, il costante splendore, l’opulenza, le qualità decorative. Per sostituire alla descrizione la suggestione, Gauguin utilizza soltanto mezzi plastici desunti da Bernard o suggeriti dal giovane amico: un disegno che non ha mai di mira l’effetto, linee senza tratteggi, che esprimono la forma attraverso l’abbreviazione, la semplificazione, per raggiungere il massimo di intensità. Rinuncia alla prospettiva tradizionale, sopprime modellato e ombre, non si occupa dei valori cromatici, deforma volontariamente i piani; e tutto ciò consente di dire che una delle forze maggiori della pittura di Gauguin è la risultante dei suoi difetti. Mentre Cézanne segnava intorno agli oggetti una traccia blu che poi faceva scomparire ma che talvolta dimenticava di cancellare, Bernard e Gauguin circondarono sistematicamente le loro zone di colore con un contomo di blu di Prussia; e questo divenne ben presto un procedimento: il cloisonnisme, adottato con successo da molti artisti intorno al 1890. M. malinoue, Gauguin. Le peintre et son oeuvre, 1948.
[…] Gauguin è stato il primo a prendere coscienza della necessità di una rottura perché potesse nascere il mondo moderno ; il primo a sfuggire alla tradizione latina, disseccata, ossificata, moribonda, per ritrovare tra le leggende barbare e le divinità primitive l’impeto originario; ed è stato anche 11 primo a osare lucidamente di trasgredire e anche di respingere la realtà estema insieme al razionalismo. Mentre l’arte occidentale aveva come proprio perno il noto, egli vi ha sostituito l’ignoto. Lasciandosi trasportare dal genio forse meno di altri, egli seppe tanto più volontariamente ricercare. Al di là delle costruzioni plastiche, di cui pure ha insegnato all’arte moderna la libera creazione, ha’intuito le terre sommerse dell’anima, le loro intatte potenze in cui la civiltà decrepita e raffinata potrebbe ritemprarsi; e ha cercato di scoprire come potrebbe essere suggerito questo fondo ineffabile. Ha compreso che tutto ciò che parla ai sensi – linea, colore, immagine – parla nello stesso tempo all’anima e riveste per l’anima un significato misterioso che sfugge alla ragione e oltrepassa la logica. Il che voleva dire aprire simultaneamente la strada alle ricerche che, rese sistematiche, dovevano sfociare nell’arte astratta, e a quelle che, rese esclusive, avrebbero costituito la novità dell’espressionismo e anche del surrealismo. R. huyghe, Gauguin, 1949.
[…] Parte dell’azione da lui [Gauguin] esercitata è per così dire esterna; e si nota nell’aspetto esteriore di certe opere successive. Ponendo l’accento sulla linea (“Disegnare, ecco quello che importa”) e sulle superne! piatte, egli anticipa in larga misura l’Art nouveau che si diffuse in Europa e negli Stati Uniti dopo il ’90. Non è il solo: anticipazioni dell’ari nouveau si possono cogliere in Seurat e Van Gogh. Ma egli era sensibile ai contorni ancora più di costoro; e le sue stilizzazioni curvilinee che iniziano negli anni tra 1’80 e il ’90 e persistono nei dipinti di Tahiti posseggono una ritmica forza decorativa che ebbe peso sul futuro. Ispirarono direttamente alcune delle prime (e migliori) opere di Bonnard e Vuillard, come di altri nabis, e in tal modo esercitarono un’influenza sia diretta che indiretta sulla formazione del gusto fauue. Inoltre l’uso di colori non primari — rosa, malva, arancioni e violetti – in stridente sovrapposizione anticipa Matisse e altri della sua generazione. Al pari di costoro, Gauguin fonda le proprie armonie cromatiche sulla sovrapposizione di colori affini più che contrastanti. Inoltre, la semplificazione del contorno, la modellazione ridotta, la deliberata vastità e rozzezza delle sue silografie, che nel loro effetto finale includono la qualità della materia, furono fondamentali nella formazione degli espressionisti di Monaco e della Germania. E da lui infine (si veda II giorno del Dio) discendono le forme fluide e le astratte figure organiche di Mirò, Arp e dei più giovani pittori di questa tendenza fino ai giorni nostri. Così l’aspetto formale dei dipinti di Gauguin anticipò e condizionò molte opere eseguite parecchio tempo dopo. R. goldwater, Paul Gauguin, 19».
L’apporto essenziale di Gauguin alla pittura moderna è un nuovo senso decorativo. Con l’impiego delle tinte piatte, delle armonie esaltate volontariamente su larghe superne! nella ricerca dell’ ‘effetto’, il suo prestigio è ancora attuale. Y. brayer, in Gauguin, 1961.
L’evasione fu il tema dominante della vita di Gauguin. “Ho sempre avuto la fissazione delle fughe”, ebbe a confessare, e le fughe le ritroveremo in tutte le tappe della sua corsa dolorosa. Evaso dalla Borsa, evaso dalla morale e dal conformismo borghese, evaso dalla famiglia e dalle costrizioni che essa impone, dall’Europa e dalla cultura occidentale, evaso dal cristianesimo nel suo formalismo dottrinale, evaso dalle vie in cui si instradava la pittura del suo tempo, Gauguin, tipo ideale del pittore maledetto, rivoltoso che proclama la sua rivolta, resta colui che ha volontariamente fuggito tutte le schiavitù e spezzato tutti i vincoli che imprigionano l’uomo moderno e in cambio gli garantiscono la sicurezza. Pure […] nella sua pittura, e a dispetto della sua stessa rivolta, egli resta un classico […]. Il parallelo tra Poussin e Gauguin, che si impone a chi si sforza di decifrare l’universo misterioso, malgrado la semplicità del suo simbolismo, del solitario del Pacifico, permette di cogliere sul vivo come quel ° Poussin senza cultura classica” che fu Gauguin – al dire di Maurice Denis – resti nella sua vita essenzialmente un fuori-legge o, per riprendere l’aggettivo già usato, un evaso. G. d’angelis, in Gauguin, 1961.