Citazioni e critica su Beato Angelico (citazioni tratte dai “Classici dell’Arte”, Rizzoli Editore)
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Quello che ha detto la critica ufficiale della Storia dell’arte di Beato Angelico
Vasari Su Beato Angelico nelle “Vite 1568”
Frate Giovanni Angelico da Fiesole … essendo non meno stato eccellente pittore e miniatore che ottimo religioso, merita, per l’una e per l’altra cagione, che di lui sia fatta onoratissima memoria…
Insomma, fu questo non mai abbastanza lodato Padre in tutte l’opere e ragionamenti suoi umilissimo e modesto, e nelle sue pitture facile e devoto; ed i santi che egli dipinse hanno più aria e somiglianza di santi, che quelli di qualunque altro. Aveva per costume non ritoccare ne raccorciare mai alcuna sua dipintura, ma lasciarle sempre in quel modo che erano venute la prima volta, per credere, secondo ch’egli diceva, che così fusse la volontà di Dio.
Luigi Lanzi su Beato Angelico, Storia pittorica della Italia … 1795-96
.. vero Guido [Reni] per quella età, anche nella soavità de’ colori, che, benché a tempera, pur giunse ad unire poco meno che perfettamente. Fu tenuto un de’ primi del suo tempo anche in lavori a fresco…
Alexis Francois Rio sull’artista, De l’art chrétien, 1836 (ediz. 1874)
P Schott Mmuller, Fra Angelico, 1911.
Nella storia dell’arte fra Angelico è situato cronologicamente tra il delizioso Gentile da Fabriano … e Fra Filippo Lippi — Tra quali due realisti di cui l’uno ha la minuziosità dell’orafo, l’altro la disinvoltura dell’improvvisatore, [l’Angelico] si distingue per il misticismo amabile e quasi francescano, di ispirazione profondamente religiosa; un intenso idealismo che contrasta con lo spirito generale del secolo, e che l’ha fatto definire ‘l’ultimo dei gotici‘. Definizione ingiusta, se con ciò si vuole intendere che il frate fu un ‘primitivo ritardatario’, un visionario che nella sua cella di domenicano avrebbe ricevuto il ‘dono’ della pittura così come il cielo la intendeva alla fine del XIV secolo, che si sarebbe sentito artista senza aver imparato l’arte e per grazia dello Spirito Santo, come afferma la leggenda … Fra Angelico, dopo aver troppo a lungo confuso l’arte del pittore con quella del miniaturista, e considerato un dipinto come una miniatura di grandi dimensioni, ha saputo tuttavia staccarsi dall’ ‘arte tedesca’, dal ‘goticismo’; ha avuto un’evoluzione, sempre progredendo; e la verità a cui è giunto, senza rinnegare il suo misticismo, ha finito per incontrarsi col realismo del secolo: l’Angelico degli ultimi affreschi eseguiti a Roma sembra sul punto di superare lo stesso Masaccio nella scienza della prospettiva.
Élie Faure 1926
… costruttore vigoroso, che seppe trasmettere intatta ai grandi classici — sottraendosi alle deviazioni e alle debolezze degli ultimi primitivi e alle esitazioni dei precursori di Raffaello — la grandiosa logica strutturale di Giotto, fra Angelico non dubitò mai di celebrare il cristianesimo un po’ alla maniera in cui si illustra, in margine a un vecchio libro, una leggenda. Questa leggenda senza dubbio lo inteneriva, e anche lo divertiva. E Faure 1926.
N. Tarchiani, in “Emporium”, 1935
… un primitivo sui generis tanto si rivela esperto disegnatore e accorto coloritore, anche nei suoi sogni di Paradiso.
R.oberto Longhi, in Critica d’arte, 1940
… Che il problema dell’Angelico giovane s’abbia a legare sempre più intimamente a quello di Masaccio giovane e magari del Masolino, confuso di mente, sui primi tempi del Carmino, si trae anche dal rilevare che per il San Gerolamo della raccolta Mather a Washington Crossing … si è pensato variamente a Masolino e al Sassetta, curiosamente cancellando l’esistenza dell’Angelico, cui tocca assai bene l’idolesca tornitura di una così devota violenza; e proprio nel momento di maggiore amicizia con un Masaccio ancor giovine … Subito dopo, e credo ancora negli anni tra il ’25 e il ’30, l’Angelico mostra di essere tornato a seguire davvicino la straordinaria crescenza, lì accanto, di Masaccio … Se ho veduto bene, questo momento di straordinaria fraternità dell’Angelico con Masaccio dovette sorgere, ripeto, questi ancor vivo, e per frequentazione diretta fra i due artisti; ma risparmierò ai colleghi la trascrizione dei colloqui che pure gioverebbe qui reimmaginare puntualmente per rappresentarci al vivo quella che fu la reale consistenza nella vicenda artistica di anni tanto decisivi: una rappresentazione che stranamente repugna ai negatori di ‘influenze’, come se gli scambi mentali fra gli uomini non fossero cosa seria e di peso tanto maggiore quanto più alta è la levatura spirituale dei contraenti … Ma, anche a risparmiare i colloqui. che questo tempo di apprensione masaccesca nel!’ -Angelico tocchi in buona parte ancor prima del ’30, va par di ricavarlo dal fatto certo che già nel 1433 col sublime altare dei Linaioli, l’Angelico ricostruisce più personalmente questa sua cultura serrandola in un castone più severamente liturgico, in una nuova forma, insomma, di ‘soprannaturalismo’ da cui non denetterà sostanzialmente più, fino alla fine. R. longhi, in Critica d’arte, 1940.
John Pope-Hennessy, Fra Angelico, 1952
… In termini di svolgimento stilistico, l’Angelico è un artista reazionario. Disinteressato alla rivoluzione operata dai suoi grandi contemporanei nella tecnica visiva, tranne che dove essa poteva contribuire all’efficacia espressiva, egli è in una posizione opposta alla pittura del suo tempo. Nella prima metà del quindicesimo secolo l’Angelico è il solo che torni deliberatamente ai modelli di Ciotto e seguaci, e anche le sue opere più avanzate, gli affreschi in Vaticano, richiamano più di una volta i cicli narrativi del Trecento. Il linguaggio da lui impiegato non è il risultato di un’involontaria incapacità di affiancarsi al progresso del suo tempo, bensì di intenzioni che differiscono in modo fondamentale da quelle di altri artisti …
Giulio Caelo Argan, Fra Angelico, 1955
… l’Angelico rappresenta, grosso modo, nel quadro delle correnti intellettuali della prima metà del Quattrocento, la filosofia tomista in opposizione alla filosofia neo-platonica personificata dall’Alberti. Ma egli stabilisce altresì la possibilità di mediazione tra le due espressioni. È lui che, tra il realismo di Donatello e le teorie di storicità dell’Alberti, ha creato il compromesso del naturalismo, aprendo così la via a un’arte che non è più una rappresentazione immobile, ma, al contrario, un discorso animato, un colloquio umano. È lui che traccia la strada che più tardi percorreranno tutti i grandi pittori di ‘racconti’ del Quattrocento, da Benozzo Gozzoli al Ghirlandaio; ed è ancora lui, infine, che ha identificato nella luce quel principio di qualità che permette all’esperienza umana, limitata e attaccata alla ‘quantità’, di elevarsi fino a comprendere l’idea suprema dell’essere. Piero della Francesca partirà di qui per raggiungere quell’identità di spazio e di luce che è la sintesi di tutti i grandi temi dell’arte nei primi anni del XV secolo: la ricerca di una conoscenza che ha dell’umano e del divino, di una forma che possa esprimere altrettanto bene il dramma e il contrasto della vita umana, e le leggi eterne e razionali della natura.
Deoclecio Redig de Campos, in Catalogo della Mostra delle opere del Beato Angelico. 1955
… La Cappella Nicotina rappresenta il massimo sforzo del Beato Angelico per adeguare, compiacendo al Papa umanista, la sua maniera ‘conventuale’ e, in un certo senso, arcaicizzante, al gusto della Rinascita, alla sua predilezione per le storie composte in architetture solenni e monumentali, al suo amore per l’antichità classica. E prodigiosamente vi è riuscito senza nulla sacrificare del carattere più intimo dell’arte sua, che rimane anche qui, come fu sempre, una preghiera dipinta.
Giovanni Urbani, Beato Angelico, 1957
Del 1433 … è il grande trittico dei Linaiuoli. Rispetto alla pala di Cortona, questo nuovo capolavoro accentua i punti di riferimento alla tradizione masaccesca, ma quasi imponente dote una inconsueta verifica, cioè il confronto con la coeva tra| (linone scultoria. Va notato che mentre un analogo procedimento è costitutivo per il filone di pittura fiorentina che fa capo al Lippi e al Castagno — dove appunto l’interpretazione di Masaccio è data sulla base di Donatello —, nell’Angelico risulta una diversione stilistica occasionale e senza seguito; almeno nel senso con cui qui appare orientata: sul Ghiberti e su Nanni di Banco. Ove non si acceda alla corrente ipotesi psicologica, per la quale un simile spostamento stilistico gli sarebbe stato dettato dal carattere particolare della commissione, e quindi dal desiderio di adattarsi ai celebri tabernacoli ‘laici’ di Orsanmichele ; vi si potrà forse riconoscere — a prescindere dal riferimento alla scultura — il primo accenno a quell’alternativa formale che a più riprese interverrà nelle opere susseguenti, e i cui opposti poli si è soliti ravvisare negli affreschi conventuali di San Marco e negli affreschi del Vaticano. È bensì vero che anche in questo caso l’occasione può parere determinante, confermando il senso generale dell’ipotesi già accennata: che l’Angelico tenesse la propria pittura su due piani: l’uno da servire all’intima convinzione religiosa, quando s’indirizzava all’ambiente monastico e al fine strettamente devoto della pala d’altare; l’altro rivolto al secolo, da ribadire il medesimo proposito, ma adeguandovi le esigenze umanistiche e classiciste della cultura rinascimentale. Da un lato il rarefatto simbolismo mistico di San Marco, dall’altro l’eroica monumentalità celebrativa degli affreschi vaticani; o la retorica statuaria del presente tabernacolo, in cui avrebbe dovuto illustrarsi, senza danno alla devozione, il vanto civile dei tessitori di stoffe. Da questo punto di vista, suffragato da un presupposto storicistico per forza di cose inesauriente, l’arte dell’Angelico rischia di definirsi al difuori della propria realtà formale. Il problema qualitativo, ad esempio, scivola dall’opera sulla moralità dell’artista, essendo inammissibile che costui possa esprimersi con uguale interezza sull’uno o sull’altro piano, ovvero riesca ad attribuire la medesima tonalità di sentimento religioso a due modi espressivi condizionati differentemente. Se si fa tanto di ammettere che rispetto al Rinascimento una certa maniera di “porsi in situazione” religiosa non esige un senso univoco, fisso e ben determinabile in una problematica speciale, non si vede in che consista la prerogativa dell’Angelico di fronte a ogni altro pittore del suo tempo, solo che abbia dipinto, come era consuetudine universale, soggetti di carattere sacro. Dal punto di vista formalistico, che è appunto il nostro, l’oscillazione dell’Angelico fra l’immagine semplificata e quella più deliberatamente complessa è solo un problema di stile, perfettamente indagabile nel processo creativo dell’artista. È chiaro infatti, e ancora più lo sarà quando ne misureremo le conseguenze nelle opere successive, che il tabernacolo dei Linaiuoli apre una crisi che non si esaurisce nel contesto del suo aspetto ‘d’eccezione’. La ricerca della monumentalità, il riferimento alla statua, e in genere allo spessore corporeo, ‘eroico’, dell’immagine rinascimentale, è di fatto un’altra componente del processo creativo dell’Angelico: opposta a quella che abbiamo indicato nella miniatura, ma al pari di essa assunta quasi per traslato dalla sua originaria modalità figurativa. Come per quanto riguarda la miniatura, infatti, sarebbe vano attendersi che questo nuovo rapporto divenga pianamente precisabile o nel nome di un artista, o nella scelta d’un determinato mezzo formale. E in realtà, i nomi che in questo caso si è soliti fare, dal Ghiberti a Nanni di Banco e al Brunelleschi, non indiziano più che una suggestione di fondo, a stento precisabile in qualche secondaria clausola di spazio o di plasticità. Ma attraverso essi l’Angelico cerca un’altra via per completare 1′‘intensificazione della propria immagine ‘facile’, intensificazione che, per quanto riguardava il dato cromatico, aveva raggiunto col suggerimento della miniatura. Questa volta è la struttura stessa della forma che deve crescere, appunto fino a fornire la base d’appoggio di quel colore. G. urbani, Beato Angelico, 1957.
Mario Salmi, II Beato Angelico, 1958
… egli non fu un gotico fuori tempo, o appena toccato dalla Rinascita; aderì programmaticamente a questo movimento e ne fu uno degli artisti maggiori. Ma, dato che fu così programmatico, è da chiederci se volontà e riflessione prevalgono in lui sulla fantasia e sulla sensibilità. Egli ha ricorsi ed oscillazioni di ordine stilistico e psicologico i quali rivelano che possedeva un suo temperamento, ed un suo sincero, impegno spirituale proprio di tutti i veri artisti. Però la sua fede profonda e la sua disciplina religiosa potrebbero farlo sembrare — per equivoco — un pittore non spontaneo, un intellettuale riflessivo. Invece, divenuto esperto del mestiere, ad onta delle origini miniatorie, il frate sente di poter dipingere con largo respiro, si guarda intorno e con senso di amistà ritrae il mondo che crede creato da Dio, ne esalta la purezza, ritrae le creature fatte da Dio a simiglianza di Dio, per dar loro sembianze di un bello superumano non solo perché sublimemente realizzato, ma perché è riflesso della sua candida anima, e pertanto bello morale … Così la profonda religiosità dell’Angelico che informa la sua vita e che si basa certo su di una cultura religiosa sicura e profonda, quando si sposti verso l’arte va collegata col fatto stilistico. Nel quale ha sua parte essenziale la prospettiva, ma essenzialissima la luce che spiritualizza la pittura di lui … La bellezza della luce che diviene nella filosofia luce spirituale non esclude tuttavia per quella piena concordia fra il contenuto e la forma osservata nell’Angelico, fra la vita intemerata e l’arte immacolata, che l’artista fosse forte di una sua preparazione di ordine tecnico, diciamo meglio, scientifico nella disposizione della luce che senza contrasti si effonde nell’ambiente o che sembra promanare dalle figure. Luce albare o meridiana o di tramonto, ma che essa pure si sublima nell’astrazione, potenzia o senz’altro determina la spiritualità dell’opera d’arte. Anche per questo l’Angelico è rinascimentale. Il vicin suo grande Masaccio da alla luce la determinata e razionale funzione di raggiungere effetti di plastico risalto e di volumetria perché contrastante col chiaroscuro a fini drammatici. L’Angelico si vale della luce anch’egli razionalmente e la vede non contrastata ma diffusa per dar vita a purificate creature in una atmosfera di eterna primavera. Non dunque fra i due pittori l’antitesi che è divenuta un luogo comune della critica; poiché essi appartengono alla stessa civiltà figurativa anche se sono paragonabili solo a se stessi. E di luce fisica come di luce morale splende l’arte dell’Angelico, umanista cristiano, specchio del divino spirito che gli splende nell’animo candido e pio. M. salmi, II Beato Angelico, 1958.
Luciano Berti, in “Bollettino d’arte, 1962
… il contributo dell’Angelico al Rinascimento risulta, al tirar delle somme, immenso: lo sviluppo cromatico, la prospettiva luminosa, cagionate dal suo ‘tomismo estetico’, che dovettero impressionare per primo Domenico Veneziano; poi oggi si suppone che da lui, e non viceversa, Michelozzo abbia avuta influenzata la formazione del suo stile architettonico. E quella purezza di volumi, quella luce e quella, spesso, sintesi, furono il primo suggerimento per il giovane Piero della Francesca, maggiore ancora di quelli di Domenico da Venezia ; poi, per un più lungo filo, nella tradizione di San Marco, armonia di sottili membrature e nervature, lievi trapassi d’ombra e luce sulle murature bianche di calce, affreschi di poche figure semplicizzate in larghi ritmi, voce cantata e pura, quasi monodica, dei colori e della luce, per tutto un processo di semplicizzazione, spiritualizzazione ed idealizzazione, in cui rientreranno anche Savonarola e Fra’ Bartolomeo, ecco, aprendosi il secolo seguente, una delle componenti più essenziali per il nostro classicismo.
B. Battisti, l’Angelico e l’impegno, in Angelico a San Marco, 1966
… L’Angelico, vivendo a Firenze, sa tutto; è assai più abile prospettico, è al corrente delle varie questioni sul proporzionamento delle figure umane, conosce di giorno in giorno i pettegolezzi, ha anticipazioni preziose sull’opera dei maestri coevi … Non c’è quadro, forse, che non nasconda un’eco di qualche grosso capolavoro, che non introduca qualche espediente, oggi si dice, d’avanguardia. E, confessiamolo, così facendo, egli trasmise a lungo, più a lungo di tutti i suoi contemporanei, fino alla morte, le idee della prima generazione fiorentina, le portò a Roma, contribuì, quasi certamente, a farle diventare un patrimonio europeo …