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Cenni biografici su Fattori (1825-1908)
Giovanni Fattori nasce Livorno, da una famiglia di artigiani, il 6 settembre del 1825.
Sin dalla tenera età Giovanni si diletta con il disegno e ben presto si dedica allo studio dell’arte pittorica
Inizialmente è allievo di Giuseppe Baldini e nel 1846 frequenta con costanza l’Accademia di Firenze, sotto Giuseppe Bezzuoli.
La sua attività di artista si blocca negli anni 1848-1849 perché partecipa alle battaglie dell’Unità d’Italia, poi però ritorna a lavorare, dal vivo, realizzando soggetti militari.
Dopo il 1859, sostenuto da Nino Costa, la sua vita artistica si fa sempre più intensa: nel 1861 partecipa ad un concorso nazionale e vince il primo premio con la famosa opera “Dopo la battaglia di Magenta”, quadro che ha un grandissimo successo, a cui seguiranno altri lavori dello stesso genere. Altro tema ricorrente nelle sue opere è il paesaggio agrario.
Nel 1875 Fattori va a Parigi dove può ammirare i capolavori degli impressionisti, in particolare quelli di Manet, che però non influenzeranno molto la sua arte, ormai già del tutto formata.
Nel 1886 ottiene la cattedra di paesaggio all’Accademia di Firenze, dove è già insegnante dal 1869. Muore a Firenze il 30 agosto 1908.
Alcune opere dell’artista
… oggi si tende a spartire recisamente la sua produzione: di qua le battaglie ed altre tele celebrative, di là i piccoli motivi campestri; quelli, prodotti d’obbligo e di mestiere; e questi, illuminazioni geniali e tesori di arte. Contro siffatto vezzo fu spesa [Soffici] qualche franca parola. Per molti aspetti, il Fattori delle tavolette torna in qualsiasi composizione più ampia; dove, fatalmente, il colore si snerva, perde di virtù struttiva e ricorre ad imprestiti chiaroscurali dalla pittura del Costa; mentre si moltiplicano gli elementi illustrativi. Quanto è limpido e stillante nelle tavolette, anticamente adusto in parecchi ritratti, costì, non di rado, il Fattori è laborioso … E badiamo, altresì, che i valori illustrativi, nell’opera militare, son sempre di un maestro. Al loro effetto, tuttavia, il colore ha meno parte; e si scorpora e cade in toni di pastello e pallori d’affresco, da farci pensare a quello che il Fattori avrebbe potuto nella pittura murale, con la quale certe sue opere di maggior superficie (per es. nel Museo Civico di Livorno) sembrano una sorta di compromesso. Allora entra in giucco il nero segno che scolpisce contorni e movimenti: il segno delle acqueforti, di molte delle quali coteste composizioni posson considerarsi quali rifacimenti in grande, ritoccati di qualche povera tinta, che crea un’atmosfera sorda, bruciata: la reale atmosfera della violenza fisica e della guerra. Frattanto, cercando riscontri al Quadrato di Custoza (Galleria d’Arte Moderna, Firenze), non basterà fermarsi all’Esecuzione di Massimiliano [di Manet]. Occorrerà risalire a Goya, piuttosto. Da un’esperienza tutta di povertà e misconoscimen-to, venne all’artista, più tardi, il gusto di certe trascrizioni tragiche … Ciò, in ogni modo, non fa che riportarci nella narrazione; ed una formola in certo modo fuciniana o maupassantiana, più letteraria che plastica. Ripensiamolo, sull’atto di lasciarlo, dove un carro rosso accosto a un pagliaio, alcuni bovi o cavalli che meriggiano, un campo coi solchi pieni di acqua piovana e un alberello che rabbrividisce all’aria raffrescata; lo spaccapietre a un’ombra di verde; una donna col parasole etc. gli offron motivi di potenti costruzioni spaziali, ottenute con il raffronto e l’incastro di semplici piani di colore, d’una purezza di gemme. La virile gentilezza degli incontri di toni, specie nei rossi, nei grigi e negli azzurri, non si rende a parole; come a parole non può rendersi ciò che di più intimo è nel timbro d’una nota. Talvolta, siamo addirittura nell’atmosfera della musica, per un piacere altrettanto diviso da ogni rapporto empirico: piacere che la musica scava nell’estatica sostanza dei sentimenti, e costi è scavato nel primordiale cristallo della luce. La terra toscana, al suo occhio sereno, davvero si esalta con lo splendore di quelle prode d’orti e marine ed altri umani paradisi dell’antico frate! E le sue sparse tavolette, che i più degli italiani ancora ignorano, costituiscono l’unico tesoro che, a distanza di secoli, sia possibile paragonare al tesoro dell’Angelico, là vicino allo studio del vecchio e umiliato ‘professore’, nel Chiostro di S. Marco. E. cecchi, Pittura italiana dell’Ottocento, Roma-Milano 1926
Nella fama che da morto lo avvolge e già lo solleva alla gloria, sembra che della vita di lui non si sappia altro che la sua onorata povertà. Su essa insistono i molti pittori che scrivono del Fattori, quasi ad ammonire il pubblico di non ripetere oggi contro loro l’iniqua e tardi esecrata dimenticanza. Ma di quanto nella biografia di questo artista può aiutarci a spiegare l’arte sua e le successive maniere, pochi si occupano.
Sono stati, fra gli altri, dimenticati due fatti capitali. Il primo è che Giovanni Fattori non ha mai creduto d’essere un puro paesista, un pittore cioè di vuoti paesaggi, ma sì un pittore di figura il quale adoperava i mille studi e studietti di paese, adesso fortuna dei mercanti e invidia dei raccoglitori. soltanto per comporre gli sfondi convenienti ai suoi quadri di butteri, di bifolchi, di boscaiole, di buoi, di puledri, di soldati, d’accampamenti, di manovre, di battaglie. Il secondo fatto è che Giovanni Fattori fino ai trentacinque o trentasei anni ha dipinto poco e fiacco, e i più dei quadri, quadretti. bozzetti e appunti che oggi si espongono, si lodano, si comprano e si ricomprano, sono tutti dipinti verso i quarant’anni e, dopo, dal 1861 o ’65. Il caso è più unico che raro nella storia dell’arte, ma ci aiuta a capire quel che di meditato, riposato e maturo è nelle sue opere migliori, anche nelle più antiche ingenuamente credute giovanili e primaverili. U. ojetti, Ritratti dipinti da Giovanni Fattori, “Dedalo 1925
… è il primo naturalista che abbia dato una singolare fisionomia alla pittura italiana. … La sua coscienza era così limpida che ha potuto prendere contatto a pieno con le purezze naturali. Le cose egli le ritraeva con tale amore che prendevano uno stile: il suo. L. viani, G. Pallori uomo, “La Fiera letteraria” 27.XII.1925
… In un quadro della Galleria di Firenze, il Riposo, egli ci ha dato alcune immagini dove le linee spezzate del contorno servono come accenti di luce distinguenti masse oscure e masse soleggiate, rivelatrici della visione di una stanchezza torbida sotto il solleone, una stanchezza meridionale, rassegnata, rude, polverosa, vissuta accanto a un muro della campagna romana. Qualche vecchio ronzino, due carri trasandati, un muro chiuso, un terreno abbandonato, sono state le occasioni della fantasia di Fattori, il quale vi ha veduto le sue macchie e le sue linee spezzate, scompositrici di vita sotto l’azione della luce. Un’afa che abbatte, una miseria non soltanto fisica, una spiacevole situazione insomma, proprio perché le mancava ogni pretesa alla bellezza, ha permesso all’artista di rivelare la ‘sua’ bellezza in alcune masse vibranti di tono nel sole. Se ora rivolgete l’attenzione alla famosa Passeggiata di Alberto Cuyo nel museo del Louvre, ‘vi trovate di fronte a una. situazione piacevole … Certo Cuyo ha studiato e ha scelto nella natura con maggior precisione e con maggior capacità di Fattori: proprio per questo Fattori è il solo dei due che abbia compiuto vera opera d’arte. Se la Passeggiata di Cuyo è famosa tra gli studiosi d’arte, il Toro di Potter [L’Aia, Galleria] è familiare ai dotti e agl’indotti del mondo intero; ne hanno valso a intaccare la inaudita celebrità del quadro le riserve critiche del Fromentin … La coerenza stilistica che a Potter manca si ritrova nell’altro Riposo di Fattori, [già] nella collezione Guatino, ove sono sacrificati il balordo rilievo e l’esibizione sfacciata, perché si distendano zone cromatiche, placidamente, come l’ora e il luogo e la solitudine chiedono. Un bue di Fattori è una realtà morale, il toro di Potter è soltanto una illusione fisica. Perciò si può dire che la bestia dipinta da Fattori è più reale di quella di Potter, proprio perché la prima è l’effetto di uno stile, la creazione di un’anima, mentre la seconda è un trucco … Il ritratto di Geertje Matthyssen, opera di Gherardo Terborch nel Museo di Amsterdam, è una vera opera d’arte … Di fronte a [essa], Argia, la cugina di Fattori [Firenze, Galleria d’Arte Moderna], ci appare una becera toscana, vestita da festa, di una vivacità così intensa che non si sa bene se irriti o esalti. La pittura è alla brava, buttata giù con effetto scuro su chiaro, con due tocchi di ombra, capace di un risalto fantastico, di un volume ben determinato senza chiaroscuro, di una forme precisa senza contorno. Anche in questo ritratto dunque, l’adesione della pittura alla personalità del modello è assoluta e perfetta. La sposa toscana del 1861 di fronte alla damina olandese del ‘600, così come la pittura di Fattori di fronte a quella di Terborch, è un’impressione di ardimento di fronte a una impressione di assestatezza. Ma dopo aver riconosciuto il valore artistico di ambedue le pitture, è pur necessario di convenire che lo stile di Fattori è coerente, più immediato, più rigoroso. Nella delicatezza olandese c’è una sapienza, una prudenza, che lusingano e allettano, come valori sociali. Fattori non li conosce, e però la sua ispirazione brilla di luce più intensa e più viva, il suo stile è più semplice e quindi più sintetico. L’aspetto primitivo dell’arte ne sgorga con una forza che sbalordisce. L. venturi, il gusto dei primitivi, Bologna 1926
Povera di fantasia e povera di movimento, limitata nei suoi moti espressivi, l’arte del Fattori spiega la sua forza nella riproduzione plastica del vero ordinario. Essa ignora lo stile e lo sviluppo, ma possiede la costruzione e l’impronta secondo natura. La bruna distesa della Maremma, i butteri fra i loro poliedri selvatici e il bifolco allato ai bovi imponenti, i campi e i colli della Toscana, le sue strade, le pinete, le marine, tutti questi aspetti naturali e viventi, tra i quali si composero e passarono le scene militari del Risorgimento, acquistarono così, nei suoi migliori dipinti il prestigio di una realtà stabilita per sempre, diventarono immagini dell’uso, proverbi della memoria figurativa. Si dica in questo senso che l’arte di Giovanni Fattori è proverbiale. E. somare’, Storia dei pittori italiani dell’Ottocento, Milano 1928
Fattori ha una facoltà rara di far sentire la vastità dello spazio anche in piccole dimensioni: spazio inteso non solo nella sua qualità fisica di profondità, di lontananza, ma proprio nella sua qualità fantastica di ampio respiro, di una robusta costruzione di una scena severa, tagliata a larghi piani… Accanto ai suoi prediletti soldati a cavallo, Fattori amò di pari amore soggetti rustici: bovi … e contadini angolosi e legnosi come le loro bestie: figure impassibili, intarsiate entro un’alternanza di chiari e di scuri che formano e reggono tutta la struttura del quadro, incorporate al cielo, alla terra, insieme con le loro bestie, i loro carri, i loro pagliai; ogni cosa è parte ugualmente necessaria di un tutto unico, senza incidenti particolaristici. Così la rude, rustica visione del Fattori assume un tono morale grave e austero, profondamente umano. La monotonia e l’umiltà dei motivi non toglie, ma aggiunge grandezza, con la sua insistenza, a questo canto tenuto, monocorde. A. M. brizio, OtIocento-Novecento, Torino 1939
… Solenne, austera, monumentale poesia. Poesia, anzi: senza riserve; che totalmente si esprime attraverso il colore, il segno, la visione del maestro. Una poesia fatta di piena adesione all’immagine. Con una schiettezza, ingenuità e primitività che non hanno riscontro. Il Fattori si cala in blocco nell’immagine. Senza sbavature, senza ondeggiamenti sentimentali, senza significazioni culturali. È una poesia caratteristica-mente appoggiata sul temperamento. Temperamento del Fattori che ha un’impronta di autenticazione superiore a qualsia-si firma. Temperamento schivo e modesto di buon uomo dalla lenta e graduale formazione … Ma temperamento ch’è tutto colorato da un pregio ch’egli sa diffondere e trasfondere più generosamente, aderentemente ed umilmente di qualsiasi altro macchiaiolo, e con una rude sincera forza: l’amore. Infinito e candido amore per le cose: che sa trasferirsi totalmente in un cavallo o in una vacca risaltanti contro il muro, in un paio di bovi al carro (quanto più di sapore letterario il “T’amo, pio bove” carducciano!), in uno stollo contro il cielo, in un alberello distorto sullo sfondo del mare. Ed è l’essenziale energia generatrice di tante e tante tavolette del Fattori. E amore per l’uomo: ch’è partecipazione, simpatia, compassione (nel senso strettamente etimologico) per quel che nell’uomo, sentito nella sua essenza più elementare, sfrondata da civili sovrastrutture, c’è di virile e di solidale di fronte ad un ineluttabile destino e ad una vita che si conquista aspramente, faticosamente. Da ciò scaturisce, senza il menomo sentimentalistico impietosimento, senza pretese di rivendicazioni sociali. l’immedesimazione nelle sue creature (ch’è poi una più alta forma di pietà) : nei suoi butteri spiccanti sull’assolato e desolato orizzonte della Maremma, nei suoi umili spaccapietre tutti concentrati nel gesto, sotto il sole a picco, e – ininterrotta vena d’ispirazione – nei soldati. Non è qui l’ideale patriottico che anima le sue maggiori e un tempo più acclamate tele: ma un senso di partecipazione umana con chi, spogliato di ogni ambizione e di ogni interesse, non ha che da obbedire (o, …. : servire). Ecco il perché di questo continuo pullulare di soldati, isolati o serrati nella concorde disciplina d’una azione, monumentalmente statici … o travolti dal violento dinamismo delle cariche e dei traini di batteria, fissati di per sé nella loro squallida e goffa caratterizzazione o sentiti come elemento complementare del paesaggio e proprio per quella loro indifferente impermeabilità. G. e G. pischel, Pittura europea dell’Ottocento, Milano 1945
Fattori, liberato dai paraocchi delle accademie, messo appena sulla via delle nuove ricerche dal contatto pieno col vero, con la vera luce, coi veri aspetti della vita contemporanea, trovò, per sincerità di ispirazione e per genialità poetica, il suo nuovo linguaggio … [Nei quadri più grandi] non è sviluppato coerentemente il principio della ‘macchia’, quale appare dalle tavolette: altra prova dell’immediatezza di quei raggiungimenti. Ma c’è la stessa visione grandiosa e pacata, pur espressa con diverso linguaggio, e quella stessa aderenza al motivo che salva le composizioni dalla magniloquenza. F. russoli, Appunti sui macchiaioli, “Arti figurativi” 1946
Bibliografia:
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Rivista ARTE A LIVORNO…e oltre confine, vari servizi sul periodico, di Mauro Barbieri, dal 2000 al 2010.
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Catalogo generale dell’opera di Giovanni Fattori R.De Grada, G. Malesci.
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Itinerario umano dell’arte, Milano, 1957.
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Giovanni Fattori, non soltanto un problema di formazione, T. Panconi, in “Antologia dei Macchiaioli” dello stesso T. Panconi, Pisa, 1999.
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Il Nuovo dopo la Macchia, origini e affermazione del Naturalismo toscano, T. Panconi, Pacini Editore, Pisa, 2009″.