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Biografia di Boccioni
Umberto Boccioni, futurista, nasce il 19 ottobre 1882 a Reggio Calabria e muore molto giovane a Verona nel 1916.
Formatosi come artista con il Puntinismo, sviluppa ulteriormente le sue capacità indirizzandole sul rapporto tra l’arte visiva e la psicologia.
È un artista molto colto ed informato sui movimenti delle prime avanguardie ed è tra i fondatori del Futurismo. Oltre che pittore è anche scultore ed è alla continua ricerca di delicate variazioni formali sostenute da una sostanziosa riflessione estetica. I suoi colori sono gioiosi ed i suoi volumi armoniosi e provocano emozioni.
La sua famiglia, di origine romagnola, si sposta prima a Padova (1888), poi a Catania (1897), dove Umberto si diploma ad un Istituto Tecnico. È qui che, ancora molto giovane, offre la sua collaborazione intellettuale a qualche giornale locale.
Nel 1901 si reca nella capitale presso una zia, dove fa conoscenza con un cartellonista e diventa un assiduo frequentatore del suo studio. In questo periodo conosce Severini, insieme al quale deciderà di diventare allievo di Giacomo Balla, da cui si allontaneranno, entrambi, molto presto.
Nel 1906 va per la prima volta a Parigi, poi viaggia in diverse città della Russia.
Ritornato in patria si stabilisce a Padova, quindi si iscrive all’Accademia Belle Arti di Venezia.
Attratto dalla Russia, Umberto intraprende un altro viaggio con quella destinazione, passando e fermandosi a Monaco di Baviera per un certo periodo. Al ritorno integra la sua arte con nuove sperimentazioni nel campo dell’incisione.
La sua arte è fatta di continue ricerche e, essendo la pittura italiana ancorata ai vecchi schemi provinciali, decide di spostarsi a Milano, una delle poche città dinamiche, dove conosce Previati e Romolo Romani. Previati riuscirà ad influenzare la sua pittura con le valenze del simbolismo.
In seguito alla pubblicazione del manifesto futurista di Marinetti, Boccioni si avvicina a quel movimento di avanguardia e, nel 1910, scrive insieme a Russolo e Carrà, il “Manifesto tecnico della pittura futurista” e il “Manifesto dei pittori futuristi”, ai quali porranno la firma anche Balla e Severini.
Boccioni diventa il più alto esponente del movimento futurista, nel quale sviluppa un suo caratteristico linguaggio che lo distingue nettamente dagli altri pittori. Intanto partecipa energicamente a tutte le iniziative del gruppo comprese le “Serate futuriste”, che vengono organizzate nei teatri delle varie città italiane, e le mostre di pittura da lui stesso allestite nelle principali città europee come Londra, Bruxelles, Parigi e Berlino.
Sempre in questo periodo, scrive un altro manifesto futurista relativo alla scultura, dipinge e scolpisce le sue famose serie “dinamiche”.
Dal 1913 inizia la collaborazione con la rivista Lacerba redatta dal gruppo fiorentino guidato da Soffici. Il pubblico italiano non è molto interessato alla sua arte e, altri ambienti culturali cercano di ostacolarla, come ad esempio quello dei futuristi fiorentini. Per questa ragione Umberto è spinto ad appoggiarsi alla madre, figura amatissima e per lui fondamentale.
Con lo scoppio della grande guerra, come la maggior parte degli intellettuali, si arruola nell’esercito e parte per il fronte. La sua arte subirà delle ulteriori trasformazioni sull’onda delle avanguardie internazionali.
Collabora con altre riviste, tra le quali “Avvenimenti” e riprende a frequentare uno dei primi suoi maestri di pittura (Balla). Il 17 agosto del 1916, in seguito alle complicanze di una caduta da cavallo, muore nei pressi di Verona.
Tre sue importanti opere: “Gli stati d’animo”, “La città che sale” e “Forme uniche nella continuità dello spazio”.
Fondamento plastico della scultura e pittura futurista (1913) di Umberto Boccioni
Il nostro idealismo plastico costruttivo trae le sue leggi dalle nuove certezze dateci dalla scienza.
Esso vive di puri elementi plastici ed è illuminato dalla intuizione di una ultrasensibilità sorta con le nuovissime condizioni di vita createci dalle scoperte scientifiche, dalla rapidità della vita moderna in tutte le sue manifestazioni e dalla simultaneità di forze e di stati d’animo che ne risulta.
Per quello che riguarda la nostra azione per un rinnovamento della coscienza plastica in Italia, il compito che ci siamo prefisso è quello di distruggere quattro secoli di tradizione italiana che hanno assopito ogni ricerca e ogni audacia, lasciandoci indietro sul progresso pittorico europeo. Vogliamo immettere nel vuoto che ne risulta tutti i germi di potenza che sono negli esempi dei primitivi, dei barbari d’ogni paese e nei rudimenti di nuovissima sensibilità che appaiono in tutte le manifestazioni antiartistiche della nostra epoca: café-chantant, grammofono, cinematografo, affiches luminose, architettura meccanica, grattacieli, dreadnoughts e transatlantici, vita notturna, vita delle pietre e dei cristalli, occultismo, magnetismo, velocità, automobili e aeroplani, ecc. Superare la crisi di rudimentale, di grottesco o di mostruoso che è segno di forza senza legge. Scoprire le leggi che vanno formulandosi nella nostra sensibilità rinnovata ed entrare, come le nostre opere futuriste già dimostrano, in un ordine di valori definitivi.
La famosa cultura dei nostri avversari risale sempre ad epoche più o meno vicine per trovare esempi contrari alla nostra concezione pittorica futurista. Questa famosa cultura dei critici e delle persone colte non è che un’accozzaglia di luoghi comuni germinati dalla recente educazione democratico-razionalista che ha creata questa illusione verista: dove tutti vedono o credono di vedere un albero, l’arte deve far sentire a tutti che riproduce un albero. “Ma lei vede il vero così?” vi chiederà sempre la balordaggine pretenziosa della persona colta. ” Ma un albero è un albero, perdio! ” vi gridano congestionati i medici, gli avvocati, i professori…
Da un altro lato, in Italia specialmente, l’ideale della tradizione greco-romana si è così radicato nella nostra secolare apatia, ha così cristallizzata la nostra coscienza estetica, che qual-siasi diritto alla deformazione frutto dell’emozione plastica della luce e dell’atmosfera, è violentemente e brutalmente combattuto, soffocato e deriso. Quindi da noi, che siamo creduti un popolo gaio, immaginoso, niente caricatura, nessuna fantasia decorativa, nessuna gaiezza illustrativa nelle diverse manifestazioni grafiche della vita nazionale. Tutto quello che non sta nel concetto di proporzione greco-romana o raffaellesca e michelangiolesca (che ai loro tempi erano delle deformazioni corrispondenti a un ideale estetico); tutto quello che non risponde al valore oggettivo della rassomiglianza e del puerile inganno ottico è creduto in Italia fuori dalla natura e dall’arte.
Invece, quanto più si risale nelle epoche anteriori, tanto meno si trova l’ossessione miserevole dell’inganno ottico che è una delle armi più baldanzosamente usate per combatterci.
La pittura e la scultura nelle epoche primordiali si preoccupano di suggestionare e suggerire e lo fanno con qualsiasi mezzo, senza il più lontano accenno alla stupida esercitazione artistica sempre fuori dalla realtà. In queste epoche felici non si conosce la parola arte, tanto meno il concetto di artistico, e non si conoscono le artificiose suddivisioni di pittura, scultura, musica, letteratura, poesia, filosofia … Tutto invece è architettura perché tutto in arte deve essere creazione di organismi autonomi costruiti con valori plastici astratti, cioè con gli equivalenti della realtà. Ecco perché noi siamo recisamente e violen-temente antiartistici, antipittorici, antiscultorii, antipoetici, antimusicali. Le opere d’arte dei selvaggi, così fatalmente entrate nel processo di rinnovazione moderna, provano la verità di quanto affermo. …
La nostra razza ha sempre dominato e si è sempre rinnovata coi contatti barbarici. Noi dobbiamo sconquassare, atterrare e distruggere la nostra tradizionale armonia che ci fa cadere in un ‘grazioso’ materiato di vergognosi lenocini sentimentali. Noi neghiamo il passato perché vogliamo dimenticare, e dimenticare in arte vuoi dire rinnovarsi. …
Alla misera sensualità spicciola della pittura italiana volgare, egoista, antinazionale, antieroica, noi vogliamo dare al nostro paese che idolatriamo la severa coscienza di un’altissima idealità estetica, l’amore per la ricerca anche a costo di sciupare e bruciare la nostra esistenza.
Vogliamo dare agli italiani la pazienza, il coraggio della solitudine in arte che da la forza di scoprire, e distruggere negli artisti che sorgono i bassi accomodamenti, le ignobili transazioni, la caccia spietata e volgare al favoritismo e all’affare … Quello che noi vogliamo proclamare ed imporre in Italia è la nuova sensibilità che da alla pittura, alla scultura e a tutte le arti un nuovo materiale per creare nuove relazioni di forme e colori. Tutto questo materiale d’espressione deve essere assolutamente ricercato nella realtà e non si può quindi rinnovare se non liberandolo dai supervalori che l’arte e la cultura tradizionale gli hanno appiccicati. …
Il nostro manifesto tecnico (1910) diceva: “Il gesto, per noi, non sarà più un momento fermato del dinamismo universale:
sarà decisamente la sensazione dinamica eternata come tale”. Un fiume di volgari stupidaggini fu versato su questa affermazione in Italia e all’estero. Spieghiamola dunque.
Quando parliamo di movimento non è una preoccupazione cinematografica che ci guida, ne una sciocca gara con l’istantanea, ne la puerile curiosità di osservare e fissare la traiettoria che un oggetto percorre spostandosi da un punto A a un punto B. Noi vogliamo al contrario avvicinarci alla sensazione pura, creare cioè la forma nell’intuizione plastica, creare la durata dell’apparizione, cioè vivere l’oggetto nel suo manifestarsi. Quindi non solo l’oggetto dato nella sua integrità con l’analisi superiore, come l’ho chiamata, di Picasso, ma dare la forma simultanea, che scaturisce dal dramma dell’oggetto coll’ambiente. È in questo modo che noi giungiamo alla distruzione dell’oggetto e della rappresentazione rassomigliante. …
Noi crediamo fermamente che solo attraverso il suo moto l’oggetto determini il suo dramma e detti la misura per essere creato. Non è quindi il caso di parlare di piccoli accidenti frammentari che noi vogliamo fissare. Quello che fa della verità della vecchia pittura una dannosa menzogna è lo sdoppiamento tra lo studio del corpo e lo studio della forza, cioè tra lo studio della quantità o conoscenza (che ho chiamata costruzione centripeta ) e lo studio della qualità o apparizione, che è la relazione dell’oggetto con l’ambiente e che è una costruzione centrifuga. Umberto Boccioni 1913.
Bibliografia: “Omaggio a Umberto Boccioni” a cura di Bruno Corà, Tonino Sicoli e Cristina Sonderegger, Silvana, Cinisello Balsamo, 2009.